𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝑉𝐼𝐼𝐼

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𝑂𝑔𝑛𝑖 𝑣𝑜𝑙𝑡𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑜 𝑟𝑖𝑡𝑒𝑟𝑟𝑎𝑖
𝑜𝑝𝑝𝑜𝑟𝑡𝑢𝑛𝑜, 𝑎𝑐𝑐𝑒𝑛𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑠𝑜𝑔𝑛𝑜
𝑒 𝑙𝑎𝑠𝑐𝑖𝑎𝑙𝑜 𝑏𝑟𝑢𝑐𝑖𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑛 𝑡𝑒
~ 𝑊.𝑆ℎ𝑎𝑘𝑒𝑠𝑝𝑒𝑎𝑟𝑒

𝐴𝑛𝑡𝑖𝑐𝑜 𝐸𝑔𝑖𝑡𝑡𝑜 - 1700 𝑎.𝐶.

Era vero, combaciavano alla perfezione, si completavano a vicenda, erano l'uno la parte mancante dell'altro, come due pezzi di un puzzle. L'unica differenza, però, era che appartenevano a due figure differenti.

Non eravamo fatti realmente per stare insieme, non ci saremmo neppure dovuti sfiorare per errore, e adesso Emad sembrava essere stato il primo ad avere l'intenzione di rendersene conto.

Ma se davvero si stava pentendo, perché non mi lasciava andare? Perché non mi stava lontano? Perché continuava a volermi trasmettere tutto quel calore che con i suoi baci e le sue carezze mi stava facendo illudere di meritarmi?

<<Ma mentirei se ti dicessi che non lo voglio>>

Emad lo sapeva bene. Sapeva perché non riuscisse a smettere di tenerla stretta, sapeva perché le parole che lo facevano sembrare apparentemente pentito fossero in realtà prive di valore, perché il febbrile impulso di farla sua che lo animava era diventato l'epicentro della sua esistenza. Era sicuro che anche Dahlia fosse al corrente del loro rischio, voleva che tenesse a mente che indipendentemente da esso lei avrebbe continuato ad essere oggetto del suo desiderio.

Il residuo amaro delle sue precedenti dichiarazioni, che mi stava facendo vibrare il cuore tramortito di ansia, mi impediva di concentrarmi al meglio sul reale significato delle sue rassicurazioni, lasciandomi perplessa e incapace di coglierle positivamente.

Lui la voleva, anche se ciò era sbagliato, e lei voleva lui allo stesso modo.

Ma perché porre fine a tutto quanto se entrambi provavamo le stesse cose? Qualcosa dentro di me implorava di capirlo, e in virtù di ciò, i suoi occhi temerari, stanchi e feriti, si decisero ad aprirsi, per incontrare immediatamente i miei, brillanti e al contempo cupi e angosciati. E se non mi fossi sentita già senza fiato, avrei giurato che fosse stato proprio lui a strapparmelo via.

<<E adesso sarei un dannatissimo bugiardo se ti dicessi che posso fare a meno di te...>> il suo sguardo cadde sulla mia bocca tremante, l'esatto riflesso di ciò che si stava scatenando dentro di me, in quello stravolgersi di emozioni che, forse, erano tornate ad assumere i loro iniziali toni bollenti, in grado di sciogliere tutto il freddo che la mia poca ragione, fino a quel momento, avevano fatto regnare per infiniti secondi.

Il battito tornò più regolare, le lacrime si ritrassero rapidamente dalle mie iridi blu, non più lucide, la mente tornò velocemente a sgombrarsi da tutte le paranoie e una sola sicurezza prese ad occupare i miei pensieri.

No, non voleva farle del male. L'idea che potesse essere in grado di farla soffrire era solo il frutto della sua paura, il risultato di diffidenze e due anni passati a temere di non poterla più rivedere.

Se ne accorse nuovamente quando con delicatezza alzò la mano a sfiorarle la guancia, accarezzandola nello stesso modo in cui, due anni prima, proprio nel giardino sotto di loro, l'aveva sfiorata per l'ultima volta.

<<Non oso nemmeno immaginare come potrebbe essere dover continuare a guardarti da lontano, senza poterti toccare...>> mi confessò, in un sussurro, quasi per assicurarsi che quelle parole potessero essere udite soltanto da me, per poi rifugiarsi nel più lontano e cupo angolo del cuore dove nemmeno la luce, che tutto mostra e tutto vede, sarebbe stata in grado di scrutare.

Non era fatto per esprimersi a parole. Quando si trattava di lei, preferiva tenere a freno la voce e lasciare che i gesti parlassero al posto suo. Proprio per questo non perse altro tempo e tornò su di lei, senza smettere di accarezzarle la guancia destra, le sue labbra si posarono sul lato opposto del suo viso, cominciando a lasciarle una scia di baci lenti e caldi lungo la mascella rilassata, che permise alla bocca di lei di dischiudersi, colta di sorpresa.

Rabbrividii, la mia insicurezza venne sostituita dalla beatitudine e tutto il mio corpo momentaneamente rigido tornò a concedersi a lui.

<<Senza poterti sfiorare...>> Era pericolosamente vicino, mi stava torturando senza nemmeno saperlo e sembrava tutt'altro che intenzionato a smettere. Dopotutto, aveva appena iniziato.

<<Senza poterti baciare...>> lì tutto ciò che era venuto prima finì per essere dimenticato, e non resistetti a non saziare la fame che perseguitava entrambi.

Le nostre bocche si congiunsero nuovamente, la passione si riaccese, un nuovo inseguirsi delle nostre lingue e un afferrarsi reciproco delle nostre mani prese vita immediatamente. Le sue dita si strinsero ancora attorno al mio fianco, questa volta rifugiandosi al di sotto del tessuto leggero del vestito, per poi finire su quel lembo di pelle sfuggito, all'altezza dello spacco della gonna, provocandomi nuove sensazioni, troppo travolgenti per permettermi di soffermarmi anche solo per un secondo sul continuo roteare delle stelle che, nel cielo nero, indicava l'inevitabile e crudele scorrere del tempo.

Nessuno dei due riusciva più a percepirlo, erano troppo concentrati l'uno sulle labbra dell'altra per rendersi conto di qualsiasi altro rumore li circondasse. Solo il suono di un gemito spezzato da parte di Dalia catturò l'attenzione di Emad, in contemporanea con i denti bianchi che, provocanti, le pizzicarono volutamente il labbro inferiore, curioso della sua reazione che indubbiamente andò in contro alle sue previsioni.

Allora sì stacco, contrariamente al volere di lei, lasciandola con il fiatone e un'espressione interdetta, per riservarle un accenno di sorriso malizioso proprio ad un millimetro dal suo respiro affranto.

<<Come potrei andare avanti sapendo di non poter più mordere queste labbra?>>

Mi sentii piazzata attorno al nulla, davanti a quella domanda pronunciata con così tanta lussuria, la stessa che lo costringeva a tenermi per il collo in una presa decisa ma dolce, un perfetto compromesso che mi rendeva bisognosa più che mai.

<<Mi sento morire solo all'idea, e anche se so che non dovrei farlo, non voglio più smettere di starti vicino...>> rivelò. La sua presa si allentò e con la mano tornò sulla mia guancia, facendo sì che le sue iridi verdi si soffermassero sulle mie.

<<Nemmeno tu vuoi che smetta, vero?>> scossi subito il capo, intanto che lo fissavo come ad implorarlo di non farlo mai e lo pregavo di poter tornare a baciarlo.

<<Non smettere...>> le parole uscirono spezzate dall'affanno e rotte dalla vergogna che mi colorava il viso.

Furono le prime parole che riuscì ad udire da parte della ragazza, che fino a quel momento non aveva ancora emesso un suono oltre ai lamenti che le scappavano alle sue mosse azzardate, e fu inevitabile per lui non concederle un ennesimo bacio casto e veloce.
Al che lei non riuscì a controllarsi e si lasciò scappare un mugolio che giunse dritto al bassoventre di lui, troppo sensibile a lei, alle rischiose risposte che sapeva dargli e che rischiavano di fargli perdere anche l'ultimo briciolo di ragione.

E come se il senno fosse improvvisamente tornato a ricomporlo, la sua coscienza sentì l'urgenza di parlarle: non poteva continuare così, doveva resistere, o non sarebbe riuscito in ciò che per tutta la notte non lo aveva fatto dormire.

Non poteva negarsi che quel susseguirsi di sensazioni lo stessero trasportando sempre di più verso l'istinto di prenderla e renderla sua, ma doveva tenere a bada i suoi impulsi. Si era prefissato un obiettivo ben preciso e non poteva aspettare un secondo di più per portarlo a compimento.

Con un'occhiata veloce all'orizzonte, vedendo il sole lentamente sorgere davanti a loro, si apprestò ad accertarsi che il tempo a loro disposizione fosse ancora sufficiente per ciò che aveva in mente di fare, poi il suo sguardo cadde nuovamente sulla ragazza, e approfittando della calma piatta che ancora per poco sarebbe rimasta, si decise a parlare.

<<Non lo farò, te lo prometto...>>

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