«Chi è?»
«Sono io»
A Irene balzò il cuore nel petto. Erano ancora solamente le diciotto e trenta di giovedì pomeriggio e seppur fosse uscita mezz'ora prima dal lavoro, non aveva avuto il tempo di fare nulla.
Fece scattare la serratura del portone principale e si affacciò nella tromba delle scale, notando Giuseppe salire seguito dall'agente di scorta che lo aiutava a portare su alcune cose, fra cui la scatola di una torta che prontamente si permise di riporre in frigo.«Ok, ci siamo. Grazie De Santis, puoi andare, ci vediamo domattina»
«D'accordo Presidente, buona serata. Signorina» disse quest'ultimo, congedandosi da loro mentre in tutta fretta entravano all'interno dell'appartamento.
«Beh? Non dici niente?» le disse Giuseppe, appoggiando alcune buste di carta in terra e sorridendole sornione.
«Sì, oddio... È che sono un po' sconvolta, non mi aspettavo che venissi. Grazie»
Irene sorrise, osservando il mazzo di splendidi girasoli che Giuseppe le aveva porto.
«Buon compleanno, bellezza» le disse, cingendole la vita con un braccio e depositandole un bacio sulle labbra.
Irene lo scrutò con minuzia e notò che aveva un piccolo graffio sulla guancia, dunque si decise a indagare.
«Grazie... Ma cos'è questo?»
«Ah no, niente, tranquilla. Un semplice graffio che mi ha lasciato Socrate mentre giocavamo» mentì lui, per rassicurarla.
In realtà, durante una discussione accesa con quella che era la sua compagna, lei gli aveva detto uno schiaffone in pieno viso, lasciandogli un segno abbastanza evidente.
«Socrate?»
«Il mio gatto» sorrise.
«Hai un gatto e non me l'hai mai detto pur sapendo quanto io li adori, bravo» rise lei, dandogli un colpetto giocoso sulla spalla.
«Prima o poi te lo presenterò. Ma bando alle ciance, mi son permesso di portare un po' di cose per la cena di stasera»
Si abbassò di poco, riprese le buste e le appoggiò sul tavolo del salone, prendendo a svuotarle.
«Ma-»
«Ah, ah! Niente "ma", dottoressa Greco. È il suo compleanno e mi piacerebbe deliziarla con alcuni sapori delicati, perciò se permette, gradirei cucinare io per lei questa sera, mentre lei andrà a prepararsi per essere ancora più bella»
«Ma tutto bene, Giuseppe? Hai preso un colpo in testa oggi?»
Irene sorrise e lui le sorrise a sua volta, rivolgendole un'espressione buffissima mentre si levava la giacca e si arrotolava le maniche della camicia bianca.
Prese a svuotare i sacchetti della spesa con una grazia unica, mentre Irene continuava ad osservarlo estasiata.Era bello, Giuseppe: dall'alto dei suoi cinquantotto anni sembrava un trentenne, tralasciando alcuni fili bianchi fra i capelli e le rughe leggermente accentuate su fronte e ai lati degli occhi, per non parlare delle profonde fossette che gli solcavano il viso ogni qualvolta sorridesse.
E Irene moriva letteralmente per lui, in maniera specifica quando lo ascoltava parlare, sia che discutesse di politica, che di altri temi.
Lui, con la sua erre un po' moscia e la sua esse sibilante quando non riusciva ad articolare bene alcune parole e quel suo dannato modo di sembrare perennemente ubriaco marcio a causa del suo biascicare, specialmente quando si innervosiva e cominciava addirittura ad avere diversi tic, fra cui quello di torturarsi ostinatamente il mignolo della mano sinistra e toccare in modo ossessivo-compulsivo la tasca sinistra della giacca, quando la indossava.
STAI LEGGENDO
Non mi lasciare.
Romance«Dammi tempo, ma ti prego non mi lasciare. Ti scongiuro, Irene» le disse, inginocchiandosi davanti a lei ed abbracciandola, posando il capo contro il suo ventre, aggrappandosi a lei in una maniera tale da farla sciogliere di tenerezza. «Non ti lasci...