BONUS - Come eravamo, parte I.

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L'afa già nel mese di giugno a Roma era qualcosa di assurdo: non si respirava in alcun modo durante il giorno, ma la sera, al calar del sole, una fresca brezza soffiava per i vicoli della città eterna.
I ragazzi per le strade del centro facevano baldoria, ridevano, bevevano, si ritrovavano in piazza per alcuni concerti, altri invece passeggiavano tranquilli e beati mano nella mano con i rispettivi partner.

Giuseppe li osservava dalla finestra dell'ufficio del Movimento Cinque Stelle e sorrideva quando vedeva i giovanissimi scherzare fra loro; gli ricordavano un po' la sua fase adolescenziale - quella che stava affrontando anche suo figlio - ma provava un forte senso di amarezza che pesava come un macigno sul suo stomaco, quando vedeva le coppie felici.

Non provava certo invidia, no.
Non era quello il suo modo di essere, provava felicità per loro, ma una grande tristezza per sé.
Sua moglie gli voleva ancora bene e lo difendeva sempre a spada tratta e dal canto suo, anche lui gliene voleva - sarebbe stato sciocco da parte sua negarlo - ma spesso si ritrovavano a discutere perché lei pretendeva qualcosa in più che lui non era più disposto a darle.

Olivia invece non lo guardava neanche più. Litigavano, litigavano, litigavano praticamente di continuo su qualunque cosa e risolvevano sempre tutto con una scopata asettica dettata dalla rabbia.
Niente baci, niente carezze, niente dialogo.

E poi c'era Irene.
Una bellissima ragazza di ventotto anni che lavorava nella banca in cui lui si era recato poche settimane prima per sbrigare alcune pratiche e che lo aveva aiutato con grande piacere.
Le gote le erano diventate subito rosse non appena le aveva rivolto un sorriso, lui se n'era accorto e compiaciuto: nonostante la sua età - anche se dimostrava parecchi anni in meno - faceva ancora impazzire le donne e ciò era in grado di gonfiargli l'ego (e non solo), in maniera smisurata.

Aveva cenato e finito di lavorare, per cui si era gettato a peso morto sul divanetto giallo e aveva divaricato un poco le gambe in una posa del tutto scomposta e scomoda; fissò il soffitto dell'ufficio per qualche secondo, dopodiché borbottò qualcosa di incomprensibile ed afferrò il cellulare che - in un maldestro slancio fantozziano - gli cadde dritto sul naso.

«Cazzo, che botta» imprecò, tenendosi il naso e controllando di non essersi fatto niente.

Cercò il suo nome nella barra delle ricerche su Facebook e scandagliò a fondo ogni profilo finché non la trovò.
Irene Greco.

«Ah, eccoti qua»

Sorrise inconsciamente al telefono, dandosi poi dell'idiota fra sé e sé scuotendo il capo, dunque cliccò sul suo nome e si ritrovò sul suo profilo, che però era protetto e dunque lasciava visibili solo un paio di foto.
Ce n'era una in cui guardava il tramonto, una in cui sorrideva mentre se ne stava seduta su un prato verde, un'altra in cui faceva una smorfia buffissima rivolta alla fotocamera e un'altra ancora, quella che lo colpì più di tutte: una foto della sua laurea, sorridente e stretta in un abbraccio fra sua madre e suo padre che le baciavano le guance.
La didascalia riportava la data del conseguimento del titolo accademico e la dicitura "Dottoressa in economia e commercio".

«Dottoressa Irene Greco...» mormorò, mordendosi il labbro.

Irene era una bella ragazza, ma era anche giovane rispetto a lui, il quale nonostante tutto era sempre un uomo adulto che lei non avrebbe mai e poi mai visto - e avrebbe fatto bene a non farlo - sotto una certa luce.
Abbassò lo sguardo in mezzo alle gambe e notò che il tessuto del cavallo dei pantaloni era teso all'inverosimile.

«Non ci posso credere» disse fra sé e sé.

Portò una mano a spostare la cintura e con nonchalance la fece scivolare dritta sul pacco: era durissimo, come poche volte nella vita gli era successo.
Si sentì però uno schifo totale, dato che si era eccitato per una ragazza così giovane.
Giuseppe sospirò, provando a scacciare il pensiero di lei, ma ben altri pensieri gli invasero la mente.

Non mi lasciare.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora