BONUS - Come eravamo, parte II.

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Irene si era svegliata proprio di malumore, così come ogni giorno da una settimana a quella parte.
Alla fine, Giuseppe si era presentato all'appuntamento con oltre due ore di ritardo quella mattina, per cui niente caffè, solo una velocissima chiacchierata perché poi era dovuto scappare di nuovo al lavoro.
Non ce l'aveva con lui per quello, in realtà neanche lei sapeva perché ce l'avesse così tanto con lui.

Controllò i messaggi sul cellulare ma non ce n'era neanche uno del buongiorno da parte sua; quasi ci rimase male, ma poi pensò che forse stessero entrambi commettendo un grosso errore in tutta quella storia.
Lei non avrebbe dovuto farsi trascinare così, lui in fondo era impegnato con un'altra donna e Irene non si sarebbe mai e poi mai potuta permettere di stravolgere un equilibrio familiare.

«È una storia complicata» le aveva detto lui, quando Irene gli aveva chiesto di lei, in un frangente della loro breve conversazione.
Non si era sbilanciato più di tanto, per cui era palese che a lui andasse bene in quel modo e che volesse solo sesso da lei.

D'improvviso, il trillo della suoneria segnalò una notifica in arrivo.
Era lui e le chiedeva di cenare insieme quella sera, perché avvertiva la necessità di stare un po' con lei a chiacchierare.
Inutile dire che lei lo ignorò, si preparò per andare al lavoro e una volta giunta in filiale, si buttò a capofitto nelle pratiche del back office, ricevendo di tanto in tanto qualche cliente.

A pranzo non aveva neppure mangiato, per via dello stomaco chiuso dovuto al nervosismo.
Senza accorgersene, in un frangente prima della fine del suo turno di lavoro, le lacrime avevano iniziato a rigarle il viso mentre osservava una foto di lui - bello come il sole - ad un comizio. Si era innamorata e per lei il pensiero che l'uomo che amava fosse di un'altra, la uccideva.

Per fortuna nessuno dei colleghi sembrava essersene reso conto, dunque Irene andò in bagno a sciacquarsi il viso e fece per tornare poco dopo alla sua postazione, quand'ecco che lo vide: i capelli scuri in perfetto ordine nonostante sulla nuca fossero un po' lunghi, le spalle larghe e la schiena fasciati nel pregiato tessuto del completo, con i pantaloni del medesimo color grigio scuro.
Non stava un minuto fermo, Giuseppe: muoveva le gambe con fare nervoso, si passava una mano sulla coscia destra, infilava la sinistra in tasca e si toccava in modo compulsivo il mignolo della stessa mano, talvolta portando addirittura una mano a stropicciarsi il naso.

«Presidente»

Lui si voltò immediatamente verso di lei con un sorriso, ma lei lo sorpassò e andò a sedersi dietro la scrivania.

«Ciao! Come stai? Mi ero preoccupato» le disse a bassa voce, sfiorandole la mano con la propria.

Irene si ritrasse come se lui l'avesse scottata ed incrociò le braccia al petto.

«Che ci fa lei qui?»

«Ah, siamo ritornati a darci del lei?» la prese in giro, aprendosi in un sorriso.

«È meglio così, per tutti e due» rispose lei, piccata.

Giuseppe si incupì, senza capire a cosa fosse dovuto quel cambio d'umore in pochi giorni.

«Che ti prende, Irene?» le domandò.

«Niente, perché?»

«Beh, se questo è "niente" per te...» la scimmiottò, mimando le virgolette con le dita.

«Senta, non ho voglia di fare scenate sul posto di lavoro, per di più il mio turno è terminato per oggi. Mario, pensa tu al Presidente Conte» sbottò, prendendo la borsa e smollandolo al suo collega.

«Ma veramente ho finito anch'io, staremmo chiudendo...»

«Mario, non rompere le-»

«Non si preoccupi, dottor...»

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