Al telefono.

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Il cellulare di Irene segnalò una chiamata in arrivo. Erano le ventitré passate e non sentiva Giuseppe da diverse ore, ormai, visto che stava chiuso alla Camera dei Deputati per via delle sedute in corso per approvare la legge di bilancio.

«Pronto?»

«Ciao. Stavi già dormendo?»

Irene sbadigliò, prima di prendere la parola e fare un cenno in segno di negazione con il capo, anche se Giuseppe non poteva vederla.

«No. Come procede la seduta?»

«Male, alcuni esponenti di maggioranza e opposizione non fanno altro che urlarsi contro e insultare anche qualcuno dei nostri. Sono sceso un momento al bar perché hanno interrotto, riprenderemo fra un'oretta. Tu che fai?»

«Nulla, sono sul divano, a momenti vado a letto. Finirete molto tardi?» gli disse.

«Probabilmente intorno alle prime ore del mattino, non prima... Che teste di cazzo. Avevo tanta voglia di vederti»

«Anche io, ma non ti preoccupare amore. Ci vediamo appena puoi.»

Giuseppe soffiò dalle narici e si spostò verso un posto meno affollato per continuare a parlare al telefono con Irene.

«Amore»

«Dimmi»

Temporeggiò prima di sospirare e in seguito parlare, sentendo il pene ingrossarsi un poco e tendere il tessuto delle mutande; dunque infilò una mano in tasca per dissimulare, qualora qualcuno l'avesse visto.
Sembrava un adolescente in piena crisi ormonale, a cui bastava solo sentire la voce della sua fidanzata al telefono per avere un'erezione.

«Ho voglia di te» mormorò sommessamente, con una voce tale che Irene si sarebbe strappata di dosso le mutande in un baleno.

«Anche io» rispose, deglutendo a fatica.

Restarono in silenzio per dieci secondi, fin quando lui non si decise a parlare di nuovo, sempre con lo stesso tono di voce che aveva usato poc'anzi.

«Toccati.» le ordinò.

«Cos-»

«Hai capito. Non farmi ripetere»

E mentre glielo diceva, con la mano dentro la tasca ne approfittò per controllare la situazione. Era duro come il marmo.

Irene decise di accontentarlo, perché qualunque cosa avesse in mente Giuseppe era terribilmente eccitante.
Sollevò la maglietta del pigiama fino a levarla del tutto e prese a toccarsi il seno e a mugolare stringendo piano i capezzoli duri e gonfi con i polpastrelli del pollice e dell'indice.
Tolse di mezzo anche i pantaloni e gli slip, rimanendo completamente nuda sul sofà, dunque spalancò le gambe e prese ad accarezzarsi lentamente sulle cosce con la mano destra, per poi infilare due dita in bocca, succhiandole così come avrebbe succhiato il cazzo di Giuseppe.

«Non ti sento» le disse lui, salendo su per le scale che portavano alla toilette.

Irene estrasse le dita di bocca e lentamente le infilò all'interno del canale vaginale, facendosi sfuggire un lungo gemito di piacere mentre entrava ed usciva e con il pollice titillava con insistenza il clitoride.

«Bravissima, continua. Toccati come se ti toccassi io, fammi sentire quanta voglia hai di me» le disse, chiudendosi a chiave nel bagno di Montecitorio.

Irene eseguì e si ritrovò più volte ad ansimargli all'orecchio, sconquassata dai brividi e dagli spasmi del piacere estremo.

«Amore...»

«Sono qui» le disse, prendendo a slacciarsi la cintura con una mano.

Abbassò la lampo dei pantaloni del completo e cercò di tenere sollevate la camicia e la cravatta, mentre la giacca era stata momentaneamente poggiata sul porta asciugamani.
Infilò poi una mano all'interno degli slip scuri e in un batter d'occhio lo tirò fuori: era spaventosamente grosso e duro, tanto da fargli quasi male.

Non mi lasciare.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora