Vivere, anche se sei morto dentro.

218 8 9
                                    

Era arrivato anche il mese di agosto e in occasione del compleanno di Giuseppe, lui, Irene e Niccolò avevano deciso di trascorrere almeno mezza giornata al mare, nella bellissima cornice di Mattinata - sul promontorio del Gargano - prima di rientrare nel tardo pomeriggio a San Giovanni Rotondo.
Dopo averne discusso un po', entrambi avevano deciso di uscire allo scoperto per viversi alla luce del sole - senza doversi più nascondere - e parlarne anche con le rispettive famiglie; i genitori di Irene ne furono abbastanza sorpresi e in principio non è che avessero accettato di buon grado il fatto che la loro unica figlia si fosse fidanzata con l'ex Presidente del Consiglio dei Ministri, ma conoscendo meglio Giuseppe, stavano iniziando a ricredersi.

La stessa cosa era accaduta con i genitori di lui: molto aperti mentalmente seppur abbastanza anziani, ma al contempo un po' restii sul fatto che il loro secondogenito si fosse fidanzato con una ragazza che non aveva ancora neppure trent'anni, anche se Irene nel giro di poco li aveva conquistati e si era guadagnata anche la simpatia di Maria Pia, sorella di Giuseppe, ma anche di Niccolò che le voleva davvero un gran bene.

Erano da poco passate le venti quando si sedettero a tavola e ad un certo punto della cena, Irene sbiancò, colta da un dolore lancinante, molto simile ai crampi mestruali.

«Irene, allora, ti sta piacendo la Puglia?»

Maria Pia le sorrise e le posò una mano sulla spalla.
Irene la osservò e annuì, portandosi una mano sul ventre, avvertendo il dolore farsi più intenso e sentendo qualcosa scorrerle giù per le gambe.

«Sì, molto» rispose, accartocciandosi poi su sé stessa.

Giuseppe si preoccupò e le prese una mano, avvicinandosi di più a lei che nel frattempo era sbiancata ancora, a causa dei dolori che stava provando.

«Tesoro, tutto bene? Che cos'hai?»

«Non lo so Giù, mi sento sve-»

Non ebbe neanche il tempo di terminare la frase, che avvertì un forte sudore freddo pervaderla e le forze venirle meno, fin quando non chiuse gli occhi e si accasciò su di lui.

Tutti, da Giuseppe a Niccolò, ai genitori di Giuseppe, a Maria Pia, sobbalzarono spaventati.

«Cazzo! Irene? Ehi, amore? Sveglia, apri gli occhi» le disse Giuseppe, sorreggendole il capo con una mano e dandole dei leggeri schiaffetti sul viso per provare a rianimarla.

Nel frattempo Lillina si avvicinò preoccupata e si accorse del fatto che Irene stesse perdendo sangue, dunque si premurò di telefonare al numero di primo soccorso e dopo circa una decina di minuti arrivò un'ambulanza che trasportò immediatamente Irene - che nel frattempo si era svegliata ma accusava ancora forti dolori al ventre - in ospedale poco distante dall'abitazione, dove venne fatta passare con codice rosso.

Giuseppe tremava, tanto era sconvolto da quanto appena accaduto e si sedette sconsolato su una delle poltroncine della sala d'attesa deserta al piano terra, insieme alla sorella che cercava di tranquillizzarlo accarezzandolo sulla schiena.

«Vedrai che andrà tutto bene. Qualunque cosa abbia Irene, si risolverà» gli disse.

Ad un certo punto, dopo circa una mezz'oretta, il primario del reparto di chirurgia si recò da loro, si sedette dinanzi a Giuseppe che lo osservava ancora abbastanza confuso e ponderò bene le parole da utilizzare.

«Scusi, lei è una parente?» chiese a Maria Pia.

«È mia sorella. Irene dov'è? Come sta?» rispose Giuseppe, agitandosi.

«Stia tranquillo, la sua fidanzata sta bene adesso, anche se...»

Il medico sospirò e si passò stancamente una mano sul viso, prima di riprendere la parola.

Non mi lasciare.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora