La tenue luce del mattino illuminava fiocamente la stanza da letto dell'appartamento di Irene; tutto intorno taceva ancora, anche perché erano ancora solo le otto di una fredda domenica di metà dicembre in cui su Roma si era abbattuta una fortissima pioggia, che ticchettava sui vetri di casa.
«Oh sì, amore...»
Irene mugugnò, stringendo il labbro inferiore fra i denti ed accarezzando lascivamente il braccio destro di Giuseppe che le stava alle spalle e si stava pesantemente strusciando con il pene sui suoi glutei, mentre con la mano le palpava lentamente il seno e affondava la bocca nel suo collo, staccandosi di poco solo per ansimarle all'orecchio.
Si erano visti in tarda serata perché lui era stato impegnato fuori Roma per tre giorni e la prima cosa che aveva fatto una volta rientrato, era stato andare da lei.
Avevano fatto l'amore due volte, la prima sul divano in salone, poi si erano spostati in camera da letto e si erano addormentati ancora nudi, l'uno fra le braccia dell'altra.«Mi vuoi?»
«Ti voglio e ti vorrò sempre, Giuseppe»
«Anche io ti voglio» le disse, seguitando a strusciarsi.
Irene portò indietro il braccio destro per accarezzargli i capelli sulla nuca e spingerlo contro di sé, girando il volto nella sua direzione, cercando la sua bocca e i suoi languidi baci che erano fuoco puro ad ogni schiocco di labbra.
Ma proprio mentre se l'era afferrato con la mano e si stava preparando a penetrarla, il suo telefono prese a squillare.«Che palle, oh» sbuffò, girandosi parzialmente sull'altro fianco e vedendo chi fosse il mittente sul display.
«Vabbè dai, rispondi»
«Scusami, torno subito»
Si alzò dal letto ancora meravigliosamente nudo e si avviò verso il salone; Irene percepì il fatto che stesse parlando al telefono con qualcuno per delle questioni lavorative e lo lasciò stare.
«Va bene... No, che disturbo? Scherzi? Ci mancherebbe, buona giornata e buona domenica a te. Ciao, ciao Filippo, ciao»
Giuseppe chiuse la telefonata, si sedette sul letto e sbuffò, riponendo poi nuovamente il telefono sul comodino.
«Cioè, anziché dormire come le persone normali, mi ha chiamato alle otto del mattino per dirmi una cosa che avrebbe potuto dirmi tranquillamente in Aula domani. A l'àngeca tuje, Filì, vatt curc»
Irene scoppiò a ridere fragorosamente, avendo bene o male inteso cosa volesse dire Giuseppe che ancora borbottava sommessamente.
«Ma quanto brontoli? Hm?»
Si inginocchiò dietro di lui e gli baciò le spalle tese, scendendo con le mani ad accarezzargli le braccia e poi risalendo verso il petto, affondando le dita fra la morbida peluria, mentre si spostava di lato per baciargli il collo.
«Ti devo chiamare Brontolo, da ora in poi» scherzò ancora Irene, stringendogli piano e in modo giocoso la pancia.
Lui si voltò a guardarla con una faccia furbetta, il sopracciglio leggermente inarcato e un sorrisino sghembo, dunque la prese alla sprovvista e la baciò, facendola ridere.
«Chi sarebbe Brontolo?»
«Tu!»
«Ah sì?»
«Sì, stai sempre a brontolare e borbottare... Sei insopportabile, Presidente Conte»
Irene rise e gli baciò la punta del naso, al che lui si voltò completamente e la fece distendere supina, sdraiandosi in seguito addosso a lei.
«Tu parli troppo per i miei gusti, bellezza» scherzò, fiondandosi su di lei per farle il solletico sui fianchi e le pernacchie sul collo, sapendo quanto lei soffrisse entrambi.
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Non mi lasciare.
Romance«Dammi tempo, ma ti prego non mi lasciare. Ti scongiuro, Irene» le disse, inginocchiandosi davanti a lei ed abbracciandola, posando il capo contro il suo ventre, aggrappandosi a lei in una maniera tale da farla sciogliere di tenerezza. «Non ti lasci...