Supereroi.

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«... E questo è tutto. I moduli sono i suoi, io ne ho fatta una copia, quanto alla sua carta di credito le arriverà a casa, così potrà procedere all'attivazione»

Irene si rivolse alla signora che le sedeva di fronte, che le rivolse un sorriso prima di alzarsi e congedarsi.

«Perfetto, grazie mille. Buona serata»

«A lei»

«Irene?»

Una collega sulla cinquantina la richiamò, mentre lei stava spegnendo il computer pronta a tornare a casa, visto che il suo turno al lavoro era terminato.

«Sì?»

«Guarda qua, questo non è il Presidente Conte? Il tuo compagno?» le disse, mostrandole un video con l'aria preoccupata.

Giuseppe era via per le amministrative e sarebbe tornato in serata, si sarebbe fermato un giorno a casa - lavorando comunque - e sarebbe ripartito la domenica.
Quello che vide Irene la lasciò di sasso: Giuseppe che arrivava in piazza circondato dagli agenti della scorta, dal suo staff e da alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle, la gente che lo accoglieva come sempre festosa e poi, d'improvviso, un folle che lo colpiva duramente al volto, sferrandogli un ceffone, lasciandolo per qualche secondo sbigottito.

«Sì, è lui! Adesso lo chiamo, voglio sapere come sta, dovrebbe essere in viaggio per Pisa al momento. Oddio, grazie Michela» le disse.

«Figurati, mi dispiace. La gente non sta bene»

«No, infatti. Ci vediamo lunedì, grazie ancora»

«Ciao bella»

Non appena fu uscita dalla filiale, si attaccò al telefono, con il cuore che le batteva nel petto come un tamburo.

«Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile, la invitiamo-»

Irene si ritrovò ad imprecare diverse volte, visto che non riusciva a parlare in alcun modo con Giuseppe e solo quando fu dentro casa lui la chiamò.

«Giù, come stai?»

«Sto bene, non ti preoccupare. Ti racconto meglio stasera però, va bene?»

Ma Irene non si lasciò fregare, aveva intuito dal tono di voce piuttosto mogio che Giuseppe non stesse affatto bene come voleva far credere, ma preferì non innervosirlo oltre.

«Va bene, amore. A più tardi allora, stai attento»

«Tranquilla, a più tardi»

Si concluse così la loro breve conversazione.
Irene prese un bel respiro e si armò di tutta la pazienza possibile per leggere gli articoli dedicati alla vicenda, senza spaccare qualcosa.
Ma come aveva potuto quel pazzo fare del male a Giuseppe?
E se fosse stato armato?
Erano queste le maggiori domande che la ragazza si poneva, con un peso sul cuore e un macigno a chiuderle la bocca dello stomaco.

Si ritrovò a piangere per la paura, prendendosi il lusso di sfogarsi un momento per mantenere la calma e supportare il suo amato compagno nel momento in cui lui le avrebbe narrato la triste vicenda che lo aveva visto protagonista, dopodiché prese un bel respiro, si asciugò le lacrime e andò a darsi una rinfrescata, poi si mise all'opera per preparare la cena con uno dei piatti preferiti di Giuseppe; apparecchiò la tavola per due e ingannò l'attesa guardando la TV per cercare di distrarsi, ma con scarsi risultati.

Intorno alle ventuno, sentì le chiavi girare all'interno della serratura e si precipitò all'ingresso, correndo incontro a Giuseppe che era appena rientrato.
Non parlarono, rimasero in silenzio ad abbracciarsi per cinque minuti buoni, poi Giuseppe si staccò a malincuore da quell'unione e Irene gli prese il viso fra le mani, lasciandogli un leggerissimo bacio a fior di labbra.

Non mi lasciare.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora