Su Carlo e sulla ricerca di qualcosa di autentico.

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Poi, una notte, Carlo si svegliò di soprassalto.

Respirava a malapena, l'aria sembrava essere improvvisamente sparita dalla sua casa. Sentiva male ad un braccio, il sinistro, a sinistra proprio dove c'è il cuore. Continuava a sudare, ma tremava dal freddo. Il cuore gli batteva talmente forte che gli sembrava di riuscire a sentirlo.

Non riusciva a ragionare nitidamente, ma a distanza di tempo, quando ripensava a quella notte, affermava di aver pensato, in modo incredibilmente lucido, "sto per avere un infarto".

E nel vorticare di pensieri senza logica, convinto di avere un infarto in corso, aveva iniziato a riflettere.

"E se adesso muoio?
È così che funziona un infarto? Ma tutto questo tempo di pensare ti lascia? Quanto è passato?
Un minuto, un ora?
Non voglio morire.
Sono da solo.
Chi chiamo adesso?
Mi prendono per pazzo.
Vado in ospedale.
Mi prendono per pazzo anche lì.

Non voglio morire.

E poi che succede, domattina mi trovano qui, steso nel letto, morto?
Chi mi trova? Mia madre che insospettita perché non le ho risposto al telefono è venuta a controllare? Non le rispondo mai al telefono, le ho io detto di non preoccuparsi se quando chiama non rispondo."

Aveva deciso di aspettare.
Aspettare che passasse.
L'infarto.
Ma poi la paura di morire lì, da solo, senza sapere chi e quando lo avrebbe trovato aveva avuto il sopravvento.

Aveva chiamato un taxi e si era fatto portare all'ospedale.

Attacco di panico, gli diagnosticarono dopo l'accesso al pronto soccorso. Pressione alle stelle, ma niente infarto.

Infatti dopo un tempo imprecisato, Carlo iniziò a sentirsi meglio. L'aria tornò a circolare intorno a lui, il cuore smise di battere come se fosse impazzito, i pensieri tornarono a essere, piano piano, più nitidi.

Attacco di panico. Carlo stentava a crederci. Attacco di panico, a lui? E causato da cosa?

Era tornato a casa, ma quel pensiero aveva continuato a tormentarlo.
Aveva avuto un attacco di panico. Non riusciva neanche a dirlo.

Sentiva che gli si era rotto qualcosa dentro. Se davvero anima e corpo sono collegati -come ci piace spesso pensare perché l'idea di essere solo corpo, e muscoli, e ossa, e carne, rende tutto meno magico e ci fa sentire troppo piccoli, e inutili, e se invece c'è un'anima è quella che dobbiamo pensare a salvare, per quello che verrà, per quello che ci sarà quando rimarrà sola, l'anima, senza più un corpo a cui aggrapparsi- se davvero anima e corpo sono collegati, doveva forse pensare Carlo che quell'attacco di panico fosse arrivato non per caso, ma per comunicargli qualcosa?

Che il suo corpo stesse dicendo qualcosa alla sua anima?

Restò così per diversi giorni.
Sospeso.
Poi decise.

Neanche un mese dopo era alla casa abbandonata, a vedere il primo di una lunga serie di tramonti.

Aveva trovato una piccola casa in affitto, distante dal mare il tempo di una piacevole passeggiata.
Poteva uscire senza l'obbligo di auto, taxi, o mezzi pubblici, cosa impensabile a Milano. Aveva scelto una cittadina piccola, piena di turisti in estate - come sono i luoghi di mare - ma praticamente deserta il resto dell'anno.
Ne aveva apprezzato subito la tranquillità. Non c'era il caos delle grandi metropoli, ma non era neanche uno di quei luoghi abbandonati da Dio dove non trovi neanche un posto per fare la spesa.

Aveva tutto, la piccola cittadina, nel suo essere piccola; fornaio, supermarket, edicola, fruttivendolo, qualche locale, qualche bel negozio, una lavanderia.

C'erano anche discoteche e vita notturna, se uno li avesse voluti, ma il Carlo che aveva deciso di lasciare Milano voleva cambiare abitudini. Per quanto, almeno per il momento, non voleva saperlo;  poteva essere un giorno, oppure un anno.

Aveva deciso di voler stare tranquillo, lontano dalla finta autenticità della Milano in cui aveva vissuto, alla ricerca di qualcos'altro.

Qualcosa di vero per davvero, che non fosse costruito a tavolino, che potesse lasciargli addosso il sapore delle cose vissute fino in fondo.

Qualcosa che permettesse al suo corpo di riconciliarsi con la sua anima, sempre prendendo per buono quel discorso che le due cose fossero collegate.

O forse voleva semplicemente cambiare aria, visto che in fondo poteva farlo.

E così, passeggiando sul bagnasciuga, una sera era arrivato alla casa abbandonata, e il tramonto sul mare che aveva visto la prima volta da quella casa lo aveva fatto quasi emozionare.
Un'emozione vera, come non ne provava da tempo.

Ci era tornato il giorno dopo, e quello dopo ancora, decidendo di portare con sé il portatile, caso mai quel tramonto così spettacolare avesse deciso di aiutarlo a far decollare quel secondo romanzo che faticava a prendere forma.

Storia di straordinaria normalità.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora