Sull'essere genitori e su come tutto si trasforma.

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Giulia si era follemente innamorata di quel piccolo essere in tutto e per tutto dipendente da lei, avrebbe voluto passarci ogni attimo, senza lasciarlo mai.
A volte sentiva il suo cuore scoppiare, le bastava stringere quel bambino tra le braccia per tornare a vedere tutto in un modo più bello.
Davide aveva riempito di colori il suo mondo, spesso troppo grigio.

Essere genitori aveva completamente stravolto le loro vite, nel bene e nel male.

Lei aveva impostato la sua vita in base a Davide, Andrea continuava ad avere la sua, di vita. E in più aveva Davide.

Differenza sottile, ma fondamentale.

Lei aveva messo in secondo piano tutto, amici, uscite, loro due, sé stessa.

Andrea continuava ad averla, una vita. Usciva, vedeva i suoi amici, non così spesso come prima ma comunque li vedeva; anche quando non lavorava preferiva lasciarlo un po' ai nonni, Davide.

C'erano il doppio delle cose da fare, e da far quadrare, adesso, unite alle altre cose che già esistevano prima di Davide.

Giulia molte volte si sentiva sopraffatta.

Quel carico mentale di cui si parla ancora troppo poco, tutte quelle cose da incastrare, il portarlo fuori, il farlo divertire e socializzare, e il preparargli da mangiare, e prepararlo anche per loro due perché ancora Davide non mangiava le stesse cose, e la nanna, e la casa, e i panni, e il lavoro.
Carico mentale, lo chiamano, ma forse "qualcuno mi aiuti, sento la testa che mi scoppia, ci sono mille cose che ci si infilano dentro, tutte insieme, e io non riesco a gestirle, sento che non finiscono mai, appena ne concludo una ho subito l'ansia di quella successiva, e vorrei chiedere aiuto ma devo essere una super mamma, perché oggi le mamme sono tutte così, mamme multitasking le chiamano, di quelle che fanno mille cose e tutte da sole" sarebbe, forse, una definizione più corretta.

Andrea lavorava tanto, come e più di prima.

Avevano iniziato a litigare spesso, per cose stupide, casa, pulizie, ordine, disordine, televisione troppo alta, cibo, suoceri e nonni, Davide.

Si erano allontanati. Come spesso succede ai genitori. Funzionavano, come genitori, o almeno cercavano di fare del loro meglio, erano piuttosto allineati, cosa non da poco.

Ma loro due, come coppia, come essere umani innamorati l'uno dell'altra, come persone ognuna con i propri bisogni e desideri, si stavano allontanando.

In superficie andava tutto bene, nonostante i battibecchi che sentivano definire normali da tutti gli altri genitori.
Ma la dimensione del loro essere coppia si stava affievolendo, senza che nessuno dei due volesse ammetterlo.

È così che si trasforma l'amore? Si chiedeva spesso Giulia.
È questo che significa diventare grandi? È questo l'amore degli adulti?

Quanta forza ci vuole per tenere vivo l'amore, quanto impegno.

Giulia, che aveva sempre pensato che l'amore non dovesse richiedere nessuno sforzo, che fosse una cosa naturale, come respirare, si stava invece rendendo conto che l'amore ne richiede di impegno, e tanto.

Si stava rendendo conto che quando cresci le farfalle nello stomaco non bastano più, magari vanno anche via con il passare del tempo. Si trasformano in qualcosa di più complesso.

"Ho imparato una cosa sull'amore. Bisogna saper disinnescare. Non vince chi è più forte, ma chi sa fare un passo indietro."

L'aveva sentita in un film, quella frase, e le era rimasta addosso.

Lei non disinnescava.
Lei era quella che accendeva la miccia.

Lei era quella che lo metteva perennemente alla prova, Andrea, con il suo eterno nervosismo, con le sue mille cose da fare, con il suo implicito - qui faccio tutto io, mai detto a voce alta ma troppo spesso pensato, in quel suo continuo volerlo sfidare, in quel suo continuo voler testare fin dove lui potesse arrivare.

Andrea invece sapeva disinnescare.
Le dava ragione spesso, quasi sempre, era lui a fare un passo indietro, era lui a tornare sui suoi passi quando discutevano, in quell' incastro difficile di pazienza infinita e -amore vero? Chissà se l'amore vero può essere definito così?

Forse erano troppo sbilanciati? Lui totalmente perso, lei innamorata sì, ma un gradino più in basso di lui? In una relazione non c'è sempre uno dei due che è più perso e uno dei due che invece no?

Ma quanto può sopportare una persona, prima di scoppiare?

Quante volte deve saper disinnescare ancora, e ancora, e ancora una volta?

O forse le continue sfide quotidiane che Giulia lanciava ad Andrea erano solo un altro segno, inequivocabile, della sua insicurezza?
Il voler vedere fino in fondo quanto lui sarebbe stato davvero lì per sempre, per lei e per il loro bambino.

Il voler capire se davvero lui non avrebbe mai mollato, non l'avrebbe abbandonata per nessuna ragione al mondo.
Poteva, il comportamento di Giulia, che troppo spesso respingeva Andrea e lo faceva sentire un estraneo in casa propria, voler testare quanto è vero che se è amore vero è amore per sempre, nonostante tutto?

Erano queste le domande giuste da porsi? O forse in sottofondo ne stava facendo capolino un'altra, più tosta, più cattiva, più letale. Una di quelle che hai davvero paura di porti.

Ci amiamo ancora? Lo amo ancora?
O quello che provo per lui si sta trasformando in un bene infinito, senza limiti e che probabilmente non finirà mai, ma che non è piu amore? E se non è più amore che faccio? Se così fosse, cone faccio ad ammetterlo, a me stessa in primis?

E allora, se con lui era tutto a posto, se con lui le era sembrato di essere, se non proprio felice, ma molto molto vicina all'idea di felicità, come diavolo ci era finita a guardare il tramonto, in una casa abbandonata, con uno che si chiamava Carlo e di mestiere faceva lo scrittore?

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