-Avevo circa sei anni quando, a guerra finita, persi mia madre. Non conoscevo la sua malattia, che nessuno fosse in grado di curarla fu l'unica mia certezza. Vivevo ancora in quella vecchia casa, appena fuori la grande Torino, con le mie due sorelle, Rosalba e Marta. Mia madre mi diede il nome di Emma, in ricordo di mio padre e del suo amore letterario per Emma Bovary. Ricordo ancora l'invidia delle mie sorelle nei confronti di chiunque sapesse leggere, perché farlo era indice di ricchezza. Mio padre seppe leggere, pur essendo nato e vissuto tra gli stracci, ed alla morte di mia madre io decisi di imparare.
Mi permisero di accedere alla biblioteca solo a causa della mia tenera ed affatto minacciosa età. Stavo seduta tra pile di libri giorno dopo giorno, sforzandomi di comprenderne i caratteri impressi tra le pagine profumate. Durante i primi periodi mi limitai ad osservare le poche immagini che pescavo qui e là, senza però comprendere null'altro. Che brutta sensazione, era. Ero impotente, davanti a storie mute che bramavo di conoscere. Poi, una mattina d'inverno, entrò un uomo che non avevo mai visto lì dentro. Portava una divisa rigida, di un colore misto tra grigio e verde. Subito mi vide, e mi si avvicinò.
"Cosa ci fa mai una bambina così bella in un luogo così brutto?" mi domandò, ed io lo guardai. Non risposi, un po' per diffidenza ed un po' per paura, ma semplicemente rimasi a fissarlo con sguardo vacuo.
Egli rimase immobile, accovacciato sulle sue ginocchia per trovare il suo viso in linea col mio, e proseguì nello scrutarmi attraverso i suoi grandi occhi scuri. Era giovane, forse una ventina d'anni.
"Non hai voce, bambina?" chiese ancora, addolcendo il tono. Sollevò una mano, lo ricordo, non ebbi paura. La posò sulla mia fronte, scompigliandomi i capelli.
"Leggo" risposi, e lui sorrise. Credevo di aver detto qualcosa di buffo, ma non aveva sorriso a causa mia. I suoi occhi erano persi nel vuoto di un qualche ricordo a me sconosciuto.
"Sai leggere?" domandò allora, porgendomi un volume stracolmo di segni da me indecifrabili. Rise forte, lui, quando scossi la testa. "E vuoi imparare?"
Annuii.
Non parlai mai direttamente con lui, all'interno di quella biblioteca. Gli diedi modo di sentire la mia voce solo quando, dopo innumerevoli giorni in cui m'insegnò ogni lettera, mi domandò di leggere per lui.
"Adesso puoi leggere" mi disse, sorridendo, e poi andò via.
Ci incontravamo, solitamente, sotto gli scaffali di Storia. Lo attesi per giorni, mesi, finché quei mesi divennero anni, ed io dimenticai, libro dopo libro, il volto di chi stavo aspettando.
Il nome non lo sapevo, mai lo scandì in quel periodo che vagò dall'inverno alla primavera, ma nella mia mente era quanto di più simile ad un padre avessi mai avuto. Non conoscevo la sua storia, e lui non conosceva la mia, eppure aveva dato una svolta alla mia vita. Ero giovane, sapevo leggere, avrei avuto un futuro.-

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Dicono che vivere stanchi
AcakDicono che di notte, la pioggia sembri più leggera, perché la senti ma non la vedi, ed allora ti interroghi di meno su quanto forte essa sia. Dicono che la vita non dà nulla, se non un pugno di mosche e delusioni. Dicono che i sogni siano per gli il...