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-A giornata finita ero ormai piombata in un baratro di rassegnazione. Il cielo piangeva fredde lacrime d'angelo, quella sera, e le strade di Mirafiori erano deserte. M'incamminai, come sempre, verso casa, camminando a naso all'insù, giusto per permettere a qualche goccia di soffermarsi sul mio volto.
"C'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo" bisbigliò una voce alle mie spalle. Rabbrividii, riconoscendo la voce profonda e la citazione di Fabrizio De Andrè. Mi voltai, immensamente felice di trovare Pietro ad accompagnarmi.
"Credevo che non ti saresti più fatto vivo" gli confessai, mentre camminavamo verso la mia vecchia casa.
"Ho riflettuto" mi rispose lui "ed ho deciso di voler restare, almeno per un po'".
"Restare?"
"Restare alle nuove abitudini" spiegò, mentre io nascondevo l'imbarazzo dei miei abiti bagnati sotto le mie braccia avvolte al petto. "Restare per queste strade, e scortare questa non più bambina alla sua casa, col suo consenso naturalmente." si affrettò ad aggiungere poi, porgendomi il braccio.
Mi affiancai a lui, sorridendo di nascosto perchè notavo come nessuno dei due avesse un ombrello, o ne avvertisse l'esigenza.
"Piace anche a me" disse, rompendo il silenzio, come rispondendo ai miei pensieri, con lo sguardo fisso al cielo. Le gocce s'erano fatte più sottili, più leggere, un alone decorativo del nostro quadro.
Pietro si fermò sotto un antico portico, a pochi passi dal cancello della vecchia casa, ed io con lui.
Vidi la sua mano, quella che non reggeva il mio braccio, frugare in un taschino della sua giacca ed estrarne un involucro morbido.
"Vuoi?" disse, porgendomi quello che riconobbi come un pacco di sigarette. Scossi la testa.
"Non so fumare." Era vero, il tabacco era per i ricchi, e per quanto il mio lavoro non fosse da poco non avevo mai provato a sperperare i miei stipendi in qualcosa di apparentemente tanto vizioso.
Pietro sorrise, ed accese la sua sigaretta sventolando un fiammifero con la maestria data dall'abitudine.
"T'infastidisce?" chiese poi, riferendosi alla nuvola di denso fumo grigio che si espandeva nell'aria.
"Affatto" dissi "non puzza come dicono." e lo pensai davvero. Aveva, anzi, un odore caldo e buono, che istintivamente attribuii alla sua figura, alla sua voce.
Parlammo ben poco mentre lui fumava. Io mi limitai ad osservare lui, e lui il fumo. Sembrava cercare delle risposte in esso, e lo guardava come si guarda un vecchio amico ritrovato. Lo guardava come io guardavo i libri, come io guardavo... Lui.
"Un giorno insegnerò" mi disse, lasciando che le sue labbra abbandonassero uno degli ultimi sbuffi di fumo. "E salverò vite".
"Come si salva una vita da dietro un banco?" chiesi, seguendo con lo sguardo il luccichio del mozzicone che s'infrangeva, ormai sull'asfalto, contro la pioggia.
"Con le parole" rispose lui. "Ci sono tante anime perdute, a questo mondo, che non chiedono altro se non essere salvate. Ed i libri, le parole, hanno tutto il potere di farlo. Ed io che lo so, lo dirò a loro. Ed anche loro, come me, si salveranno."
Era uno dei discorsi più folli ed al contempo più veri che avessi mai udito. E la sua espressione assorta, mentre parlava, gli dava l'aria di qualcuno che davvero era stato perduto, un uomo solo sull'immensa terra, e che aveva trovato la forza di salvarsi.
"Allora hai salvato anche me?" domandai, ferma sul cancello, ed alzai gli occhi intercettando i suoi.
Li vidi colmi di dolore e di paura, e mi promisi che li avrei riempiti di gioia e sollievo, mi promisi che io avrei salvato la parte di lui che ancora era perduta.
"Non è esatto, Emma. Sei tu ad aver salvato me."

Dicono che vivere stanchiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora