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-Passai la notte in bianco, incapace di realizzare quanto vuota sarebbe stata la mia vita da quel giorno in poi. Non volevo perdere tutto ciò che avevo, non di nuovo, come dopo la morte di mia madre.

Cominciai a realizzare cosa molti filosofi riconoscessero come 'angoscia'. Ciò che provavo non era paura, non era tristezza. Sentivo semplicemente il vuoto dentro me. Il nulla. Il nulla faceva parte del mio essere da sempre. Era stato riempito, all'età di sei anni, dagli occhi di un uomo che sembrava essere stato posto davanti a me dal fato, ed era rimasto in bilico tra il baratro e la salvezza lungo i dodici anni successivi. Ed ecco, ora era tornato. Se Pietro si allontanava, il nulla tornava. Ma non l'avrei permesso. Non di nuovo, non quella volta.

Ringraziai mentalmente il mio essere parsimoniosa, e stipai tutti i soldi guadagnati in quegli anni dentro un enorme zaino in cui riuscii ad introdurre perfino qualche ricambio ed effetto personale.

Scrissi alle mie sorelle che avrei dovuto affrontare un viaggio di lavoro, senza sapere come né quando (né se, ma evitai di aggiungerlo) sarei tornata a casa. Attesi dunque l'albeggiare di una nuova e fresca giornata autunnale, ed uscii. Percorsi le strade di Mirafiori in lungo e in largo, senza meta, aspettando l'orario di apertura della biblioteca.

Fattasi l'ora giunsi a lavoro e presi a sistemare qualche scaffale, notando con sorpresa come ancora mancasse 'Sogno di una notte di mezza estate' dallo scaffale 'S', e supposi che i bibliotecari tenessero ancora la tessera garante di Pietro. Forse non avrei nemmeno avuto bisogno di cercarlo, forse sarebbe stato lui a trovare me, come sempre.

Sobbalzai ad ogni tintinnio della porta, voltandomi poi, delusa, a continuare ciò che stavo facendo.

"Buongiorno".

Sbam. Di nuovo!

Lasciai cadere ogni cosa, e corsi verso il bancone. I bibliotecari erano in pausa probabilmente, c'eravamo solo noi due, solo io e Pietro all'interno del locale.

"Buongiorno" risposi, a voce un po' troppo alta, e lo vidi sorridere.

"Ho visto i proprietari uscire" ammise "volevo salutarti".

"Non ce ne sarà bisogno" dissi, rendendogli la tessera e prendendo il mio zaino da sotto il banco. "Sto partendo anch'io".

Nel momento in cui lo dissi, realizzai l'assurdità di ciò che stavo facendo. E se io non fossi stata per lui ciò che lui era per me? I suoi occhi si spalancarono, sorpresi, e subito un sorriso illuminò essi e me, rimuovendo ogni paura dalla mia mente.

"Avrei tanto voluto chiedertelo" disse, senza smettere di illuminare il cosmo intero col suo sorriso mozzafiato "ma avevo paura di spaventarti, o di sembrarti avventato".

"Non c'è niente di cui aver paura" risposi, e mi sorpresi di quanto vere fossero le mie parole, se rivolte a lui. "da questo momento in poi saremo solo io e te, fino a che vorrai".

Avrei voluto che lui mi rispondesse con qualche frase idilliaca, come 'vorrò per sempre' o giù di lì, ma quello che stavamo per vivere non sarebbe stato un idillio, quella sarebbe stata la vita vera, e mi accontentai della sua bellezza disillusa e spontanea.

"Andremo a Roma, la grande Città Eterna" mi disse, una volta lasciato un biglietto di dimissioni in biblioteca e raggiunta la stazione.

"Ho ereditato una villa, alla morte dei miei. Mi sono sempre imposto di non abitarci, preferendo la carriera militare. Posso prepararti una stanza degli ospiti".

Lo ringraziai, immaginando un Pietro spaesato, infinitamente più giovane, distrutto dalla morte dei suoi punti cardinali. Comprammo i biglietti e trovammo posto in una cabina fumatori, in cui avrei potuto attribuire a Pietro l'odore di ogni cosa. Viaggiammo per poco più di mezza giornata, e scoprii di adorare i treni. Rimasi tutto il tempo con la fronte incollata al finestrino, ad osservare distese di alberi lasciare il posto a lunghe spiagge bagnate da un mare cristallino.

"Non avevo mai visto il mare" sussurrai, più a me stessa che a lui, ma mi sentì comunque.

"Non dista molto da Roma" disse "ti ci porterò".

Dicono che vivere stanchiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora