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Manuel ha iniziato da poco l'università e gli fa più paura l'idea di dover trovare un amico che quella di dover affrontare gli esami.

Si è ritrovato, un giorno, catapultato in un'aula insieme a centinaia di sconosciuti ai quali sembrava non importare minimamente se lui fosse presente oppure no mentre fino a qualche mese prima i suoi compagni di classe erano soliti notare ogni suoi piccolo sbalzo d'umore, ogni suo cambiamento e, soprattutto, la sua assenza.

4 Ottobre

Prende coscienza del cambiamento che l'iscrizione all'università porta con sé proprio un giorno di Ottobre, quando a causa di un forte mal di testa non riesce a seguire le lezioni ed il giorno seguente non riesce a chiedere a nessuno di passargli gli appunti perché nessuno sembra disposto a farlo.

Gli sembra di essere invisibile.

Torna a casa amareggiato, triste e soprattutto sentendosi un fallimento, ché già inizia a vedere i primi legami nascere in quella specie di classe e si rende conto che lui non fa parte di nessuno.

Anita, sua madre, la sera a cena naturalmente nota che qualcosa non va in suo figlio.

E «Manu, cos'hai?» si ritrova a chiedere, sempre cauta, memore del fatto che Manuel non apprezza di buon grado chi gli propina domande su domande.

Manuel sbuffa, poggia il viso su una mano, il braccio sul tavolo e «'st'università è 'na merda ma'.» sentenzia.

Anita lo guarda un po' sorpresa, è stato lui ad insistere, lui a volersi iscrivere alla facoltà di filosofia. È stato proprio lui a lavorare in estate, tra il quarto ed il quinto anno, e poi durante l'estate successiva alla maturità per non gravare troppo sulle sue spalle a causa delle tasse. Si chiede cosa abbia fatto demoralizzare suo figlio a tal punto.

Lo guarda accigliata per qualche istante, poi gli accarezza un po' il braccio.

«Perché dici così?»
«Perché non c'ho amici, so' solo.»
«Ma piano piano quelli li trovi, Manu, fidati.»

Cerca di consolarlo Anita, di infondergli un po' di quella tranquillità che si acquisisce soltanto con l'avanzare dell'età, ma a diciannove anni il mondo fa paura, indipendentemente da ciò che ci si possa sentir dire e dunque Manuel scuote il capo, nega.

Non ci crede Manuel, però una speranza ce l'ha.

«Ti ricordi la cosa del dinosauro? Del bambino dell'ospedale?» domanda allora alla madre, perché qualche mese prima — mentre ripuliva la sua camera — ha trovato un dinosauro giocattolo con cui ricorda di aver giocato a lungo ed ha scoperto che nasconde una storia speciale.

«Sì. Jacopo si chiamava il bambino, credo abbia più o meno la tua età... farà anche lui l'università. Ma perché?» replica Anita che non comprende dove voglia andare a parare suo figlio.

«Te dici che giocavamo sempre, in ospedale, eravamo diventati amici, no? Secondo te non potremmo esserlo pure adesso?»

Quello di Manuel, ad Anita, suona come un tentativo così disperato di sentirsi amato ed accettato che non ha il coraggio di fargli notare che è pressoché impossibile ritrovare quel bambino di cui hanno ormai perso le tracce quasi vent'anni prima.

Allora «certo... certo che potreste essere amici, però... come... io non ricordo il suo cognome, Manu.» dice, con il tono più dolce possibile.

Il ragazzo però non pare perdersi d'animo, si chiude nelle spalle, sorride, sembra acquisire una nuova luce.

«E vabbè, in qualche modo 'o trovo, no?» esclama, più vispo.

Ripone in quel bambino, ormai ragazzo, tutte le sue speranze.

déjà rêvé Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora