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31 Ottobre

A ridere, il giorno successivo, sono solo gli adulti però. Nello specifico la madre di Manuel e il padre di Simone, perché i due ragazzi si svegliano con la febbre a trentanove.

Dante Balestra sembra particolarmente divertito.

«Devo dire... complimenti, Simone.» borbotta, cercando di non ridere porgendo al figlio del paracetamolo e dell'acqua mentre questi non riesce nemmeno a muovere la testa sul cuscino.

Se non sentisse del filo spinato avvolgergli la gola probabilmente il ragazzo replicherebbe ma si limita a mormorare qualche sillaba incomprensibile in risposta, prima di tornare a dormire.

Manuel non si trova in condizioni migliori, anzi. L'unico modo che ha di respirare è tenere la bocca aperta dato che il naso è completamente fuori uso.

Vorrebbe prendersela con qualcuno ma sa che l'unico colpevole di tutto è lui e la sua testa calda. Eppure, eppure non rimpiange niente.

Piuttosto, in quel perenne stato di dormiveglia in cui versa, continua a pensare a quel bacio, ed è forse per via del riproporsi di quel ricordo che nel pomeriggio, quando la febbre sembra essere scesa, fa partire una videochiamata.

Se ne sta steso sul divano sotto due coperte con il sorriso più stupido che abbia mai avuto in volto probabilmente ed attende con il cuore che batte all'impazzata che dall'altro lato qualcuno gli risponda.

Qualcuno che risponde al nome di Simone Balestra e che ha da poco lasciato il letto per cambiarsi il pigiama, soltanto per sprofondare in uno più comodo, più pulito e che ora sta valutando lo stato dei suoi ricci invece di rispondere a quella chiamata, vittima di una tachicardia che — per quanto ne sa — potrebbe anche ammazzarlo, tanto è violenta.

«Ciao!»
«Ciao!»

Parlano all'unisono non appena i loro volti diventano ben visibili sugli schermi dei loro cellulari e scoppiano a ridere come due bambini.

«Come» inizia a dire Manuel ma viene interrotto da un «allora» di Simone che divertito da quella situazione, o forse soltanto felice — semplicemente e banalmente felice — ridacchia, e «prima tu.» dice.

«Come stai?» domanda Manuel, cercando di ignorare quel tumulto che pare volergli distruggere lo stomaco.

Saranno queste 'e farfalle di cui tutti parlano? Non me sembrano così delicate pensa per un secondo, precisamente mentre vede una fossetta apparire sul viso di Simone e le sue guance diventare rosse.

«È da poco scesa la febbre, tu? Sei stato molto male? Mi dispiace, avrei dovuto farti entrare ieri sera.» dichiara il più piccolo, mordendosi l'interno di una guancia probabilmente a causa dell'emozione ma risultando agli occhi dell'altro soltanto infinitamente più adorabile.

«Ma tu te senti in colpa pe' ogni tipo di catastrofe o riservi 'sto trattamento solo a me, Simò?» viene istintivo dire a Manuel, ridendo.

Lo vede che l'altro abbassa gli occhi e se non ci fosse uno schermo e qualche chilometro a separarli probabilmente lo bacerebbe.

Anzi, sicuramente lo bacerebbe.

«Mi dispiace oh! L'allenamento era il mio, mica di qualcun altro!» cerca di difendersi Simone, stringendosi nelle spalle al punto che il primo pensiero di Manuel è ma quanto piccolo è?

«Eh 'nfatti, se 'n era il tuo mica ce venivo.» replica, rifilandogli un occhiolino che lo fa avvampare.

Gliel'ha servita su un piatto d'argento Simone quella possibilità e Manuel glien'è grato perché moriva dalla voglia di parlare della sera prima ma non sapeva come fare, non trovava il coraggio.

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