4 Finestre

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Due settimane dopo il trasferimento a casa sua, mia madre partì per la Scozia.

Mio padre mi venne a prendere dopo che lei se ne fu andata, per non incontrarla.

Era ancora arrabbiato con lei.

E con me.

Per tutto il viaggio non mi rivolse la parola.

Si limitava a grugnire per dire si e a scuotere la testa per dire no.

Belle conversazioni.

Neanche io, poi, avevo tanta voglia di parlare.

L'unica persona a cui volevo rivolgere due parole era June, ma lei non voleva ascoltarmi.

Avrei solo dovuto aspettare che la notizia della mia incarcerazione venisse soppiantata da qualcosa di più importante, così sarei potuta tornare alla normalità.

Quando arrivammo di fronte al portone di casa, uscii dalla macchina con un balzo.

Mio padre aspettò un poco prima di seguirmi.

Non volevo voltarmi, ma sentivo ancora il motore in movimento della macchina quando mi infilai nel portone.

L'atrio era freddo

La carta da parati era logorata in alcuni punti e ingiallita in altri, e sprigionava un forte odore di muffa.

Tutti i condomini erano anziani, ad eccezioni di mio padre, e nessuno voleva prendersi la briga di chiamare un tappezziere.

Pareva che quell'atrio si fosse fermato agli anni cinquanta, la data della costruzione del palazzo.

Vi era anche un giradischi a trentatre giri, come per ribadire la sua appartenenza al passato.

Un tempo doveva essere un bell'arnese, ma ora il passare degli anni e la noncuranza dei condomini l'avevano trasformato in un ridicolo oggetto gracchiante.

Salii le scale, accarezzando il corrimano di legno.

Mio padre abitava al primo piano; accanto a lui c'era una simpatica vecchietta dalla pelle giallognola come la carta da parati.

Mi voleva bene; fin da piccola mi regalava sempre dei dolcetti e per natale mi faceva sempre una banconota da dieci euro.

Diceva che le ricordavo tanto sua nipote, una creatura idilliaca, dalla pelle rosea e dai capelli biondi.

Cosa alquanto strana, siccome i miei capelli erano rossi, arruffati come sterpi

Inoltre non avevo niente di idilliaco.

Ero bassa, tarchiata, con occhi grigi troppo grandi e il naso troppo grosso.

Una volta un mio compagno di classe aveva detto che sembravo un topo ... no anzi, un procione in calore.

Era  l'unico "complimento" che avessi ricevuto da un maschio.

Certo, mio padre mi ripeteva in continuazione : "sei bella", "sei splendida", "sei la mia principessa" ecc, ecc ...

Ma quelli non li avevo mai considerati veri. Erano la filastrocca che i padri devono ripetere alle figlie per farle sentire a proprio agio.

Ma la verità era che l'unico complimento vero che mi venne detto fu "Sembri un procione in calore".

E io l'accettai.

Non perché desiderassi incassare il colpo e farne la mia forza.

Questo no.

Semplicemente perché se mi veniva detto, voleva dire che era vero.

Infilai le chiavi nella toppa e aprii la porta con una spallata.

La serratura non era ancora stata oliata e ogni giorni diventava sempre più difficile entrare.

Prima o poi sarei rimasta chiusa fuori.

Andai nella mia stanza e mi tolsi i vestiti.

Indossavo  un maglioncino e dei jeans, e quando li tolsi, la mia pelle rabbrividì a contatto con l'aria fredda.

Stava arrivando la sera e la temperatura stava calando.

Mi infilai il primo pigiama che trovai e mi stesi sul letto.

Sentii mio padre entrare in casa.

Non mi mossi.

Avvertii i suoi passi che si avvicinavano alla mia stanza.

Rimasi ferma.

Sembrava che il tempo si fosse congelato.

Per qualche secondo il mio respiro e quello di mio padre si unirono all'unisono

Poi finalmente i passi fecero dietro-front e lui si allontanò.

Meglio, non avevo voglia di parlare.

Presi un libro dalla libreria e presi a sfogliarlo.

Era un libricino piccolo, di quelli che leggevo da piccola: pieno di figure e poche parole.

Era la solita storia della principessa che viene salvata dal magnifico principe azzurro.

Una palla assurda.

Eppure non avevo voglia di chiuderlo.

Lo sfogliai, ancora, ancora.

Sembrava che quelle immagini mi inghiottissero.

Per un attimo vidi davanti a me il verde della radura dove i due innamorati si incontravano di nascosto dallo stregone; il castello in rovina dove la principessa era tenuta prigioniera; lo stregone che si trasformava in un orrendo drago e il principe che lo combatteva ... e infine il bacio dei due amanti sul cadavere dello stregone.

Ma la cosa ancora più strana fu che mi addormentai.

Toc, toc ...

Qualcuno stava bussando.

Ancora cinque minuti, per favore

Toc, toc

Dai, papà lasciami dormire

Toc, toc

Cristo, che palle.

-Elenoire !-

Una voce perentoria mi chiamò.

Ma non era quella bassa e dolce di mio padre.

No.

Era diversa.

Più fredda e seccata.

Aprii gli occhi.

E quello che vidi mi lasciò senza parole.

Una mano, chiusa a pugno, bussava incessante sui vetri della mia finestra.

DELLA MIA FINESTRA!!

Fui tentata di chiamare mio padre.

Non sarei corsa in camera sua come facevo quando avevo un incubo.

No; avrei urlato.

Avrei urlato così forte da svegliare tutto il palazzo.

-Elenoire, cazzo, sto gelando!-

Guardai verso la finestra disorientata.

Se fosse stato un ladro, come sapeva il mio nome?

Di solito i ladri non si informano prima di compiere i furti.

-Dio, apri questa cazzo di finestra, altrimenti giuro che la sfondo!-

E io ubbidii.

Scivolai giù dal letto e aprii la finestra.

L'aria fredda della notte mi investii.

-Grazie- gracchiò

In quel momento alzai gli occhi.

Lo riconobbi.

Era Geremia Bianco.

(GOOD) BYE#Wattys2015Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora