XIV.

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Basta esser toccati una sola volta da Amore per poterne essere dei degni narratori

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Basta esser toccati una sola volta da Amore per poterne essere dei degni narratori. Un'irradiazione di calore per tutto il corpo; il risveglio di atteggiamenti che si pensano esser scomparsi dalla persona stessa riaffiorano dall'apatia ignorante della vera cultura d'affetto.

Tremori, vampate, cambi d'umore, perfino uno strano tremito irrazionale che spinge il corpo a brividi frequenti. Un atteggiamento infantile, incontentabile per qualsivoglia circostanza. Si nasconde la stanchezza dietro la voglia di fare, dietro quella di amare e costruire. Si torna indietro, alla nascita primordiale dell'io, alla creazione stessa della persona, per rinascere; reincarnarsi in un ulteriore corpo e vivere ancora d'esperienza.

Taehyung da innamorato si atteggiava come un bambino. Saltellava di ritorno dallo studio verso casa.

Coconut Grove non era mai stata così lontana, ma quella distanza era colmata dal suo passeggiare assorto. Stampato sulle labbra, un sorriso ebete; quella smorfia gli si creava da sola, involontaria, perché il suo pensiero fisso e constante era solo uno.

Jeongguk.

Si svegliava la mattina, e pensava a lui. Andava al lavoro, e pensava a lui.

Che fosse al suo studio, o alla collaborazione dei fratelli Kim, pensava a Jeongguk; e di tanto in tanto chi gli passava di fianco, chi si soffermasse ad osservarlo, notava quel sorriso all'apparenza insipido, stupido. Per Taehyung, al contrario, significava la vittoria netta sulla sua apatia.

Passava giornate colorate dalla voce di Jeongguk. Quella testolina bionda, che si scrollava la salsedine, e la brezza calda del mare dai fili platinati; i suoi occhi neri, profondi, e le sue labbra sottili, ma gonfie di passione per lui.

L'avvocato custodiva geloso tutti quei piccoli particolari; li rimetteva assieme, pezzo per pezzo nella sua mente contorta, adesso non più preda della follia. Perché il suo vortice di problemi era stato occupato da quel solo pensiero: Jeongguk.

A passo svelto, si spostava verso la porta della sua reggia di mare. Un ticchettio di scarpe italiane in cuoio, il palpitare frequente del suo cuore - ne ignorava il perché. Jeongguk non sarebbe stato lì ad aspettarlo.

"Maryland, sono a casa!" gridò in cerca della domestica, ma nessuna voce proveniente dai remoti anditi della casa gli rispose.

Il pavimento era già stato lustrato, cerato adeguatamente. Le finestre pulite, e l'argenteria in perfetto ordine. Non pendeva niente fuori posto dall'ingresso di Coconut Grove.

"Deve essere andata via." sussurrò fra sé.

L'orologio della scalinata scoccava le sette di pomeriggio, il sole era ancora alto in quella perenne estate americana. Maryland aveva, con certa probabilità, finito il suo turno, ed aveva lasciato la casa prima del previsto.

"Ottimo lavoro, Maryland." bisbigliò ancora Taehyung fra sé.

Ma dal piano di sopra, un gemito.

Fruscii di vento provenivano dalla finestra schiusa della cucina. E Taehyung se ne accorse non appena cercò di capire da dove nascessero quei flebili mugolii.

Miami Heat | VKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora