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<non fare caso al casino, è solo momentaneo.>
Era un tugurio, non si poteva respirare lì dentro dal caldo e dalla sporcizia.
Takemichi a stento stava in piedi, cercando di non svenire e concentrandosi solo su Mikey che era intento a raccogliere della spazzatura a terra.

<Non preoccuparti.> Sussurrò il ragazzo, guardandosi intorno. Non avrebbe mai voluto, nemmeno in passato, che Mikey vivesse in un posto del genere ma, data la sua posizione e i guai nella quale si era cacciato, non avrebbe potuto pretendere una stanza di lusso o addirittura una casa. Quindi lo compativa appieno, anche se avrebbe voluto stare lì con lui. In quel posto sembrava così triste e solo e con quei soggetti che c'erano in giro non è che si fidava molto degli altri, avrebbero potuto aggredite chiunque. Ma, Takemichi sapeva anche questo, sapeva che Mikey era bravo a difendersi nonostante il suo fisico gracilino e la faccia da angioletto. Non era una persona da sottovalutare, era molto forte. E questo lo sapeva lui e lo sapeva anche Mikey. Mikey non aveva paura di nulla, aveva fiducia in se stesso ed era tutto ciò che Takemichi avrebbe voluto essere. Mentre Mikey vedeva Takemichi più come una persona da difendere fino all'ultimo respiro. Ecco perché quei due si completavano e non potevano fare a meno l'uno dell'altro.

<Ho letto il tuo messaggio. Sono venuto qui il prima possibile.>
Il moretto si mise in disparte, appoggiato con la schiena contro il muro; guardava il biondo prendere posto su uno spazio del letto e sedersi.

<Mi serve il tuo aiuto, Takemichi.>
La sua voce era profonda e seria. Non era affatto il Mikey che conosceva e, nonostante tutto, sapeva che quella parte di lui ci fosse ancora. Quella parte giocosa e spensierata.  L'aveva nascita ma c'era, se lo sentiva.

<Tutto quello che vuoi.> Disse, mandando giù un groppo di saliva che gli di era formato nella gola.
La sua schiena era rigida, questo era l'effetto che Mikey gli faceva ogni volta.

<Devi aiutarmi a scappare da qui. Non posso farlo da solo.>
I nervi di Takemichi parvero bloccarsi e fece di tutto per non tremare; come avrebbe potuto fare per aiutarlo ?

<Io...>
Cercò di dire.

<Tu sei l'unico che può farlo, e io mi fido di te. Draken non c'è più, ora sei tu la mia spalla. Sei tu la persona sulla quale posso contare, Takemichi.> Gli disse, aveva quello sguardo profondo piantato in quello vivo e spaventato del moro. Quello sguardo che lo aveva fatto innamorare profondamente di lui sin dal primo istante. Sapeva che Mikey fosse una persona pericolosa, ma Takemichi amava quel pericolo e non aveva paura di farsi male. Per questo, nonostante l'esitazione iniziale, annuì.

<Va bene. Dimmi cosa posso fare>
Era più che determinato. Non aveva nessun rimorso per quello che aveva detto, lo avrebbe aiutato in tutto e per tutto, anche se quello avrebbe voluto dire che non lo avrebbe più rivisto. Amava Mikey, ma voleva anche che fosse al sicuro e lontano dai pericoli. Lo avrebbe fatto scappare.

<E non devi cercarmi.> Disse, con una serietà così tagliente che si sentì attraversato in due da essa. Le gambe tremavano, lui pensava che non ce l'avrebbe fatta ma resse, ancora una volta, con il cuore spaccato e lo sguardo rigido rivolgo verso di lui.

<Io...non capisco.> Gli disse Takemichi, e non capiva davvero. Perché non avrebbe potuto cercarlo se sapeva che entrambi erano al sicuro e nessuno li avrebbe mai trovati ?

<È per il bene di entrambi.> Rispose Mikey.

Ma non importava, nulla di tutto quello importava. I sentimenti dovevano essere messi da parte. Aveva passato tanti anni senza Mikey al suo fianco e altro tempo non gli avrebbe mai fatto del male.
Fece un sospiro pesante; tutta la stanchezza della giornata che si era accumulata e tutte quelle informazioni lo avrebbero fatto uscire di testa.
<Va bene. Dimmi cosa devo fare.>

Il biondo, a quel punto, si alzò dal letto e si diresse verso un comò. Aprì il primo sportello e prese un pezzo di carta e una penna, iniziando a scrivere qualcosa su di esso.
<Devi recarti a questo indirizzo. Recupera dei documenti falsi. Gli dici che sono per Mikey. >
Finito di scrivere, si andò a girare verso il moretto e gli allungò il pezzo di carta. Lo guardava dritto negli occhi; era nuovamente quello sguardo che gli faceva tremare le gambe.
<E, mi raccomando, fai attenzione e torna vivo.>

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