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Lo sguardo di Takemichi vagò dalla foto al viso dell'agente e viceversa, più e più volte. Cosa avrebbe potuto dirgli ? Non poteva di certo affermare che lui, ritratto in foto, fosse il ragazzo di cui era innamorato e stava facendo di tutto per proteggerlo.
Non avrebbe mai potuto mentire. No, lui non era capace di mentire. Quindi, avrebbe potuto usare una mezza verità. Deglutì, mandando giù quel groppo che gli si era formato nella gola e si morse l'interno della guancia, infine parlò. Avevano bisogno di risposte quegli agenti e lui gliele avrebbe date:<eravamo amici...alle medie.>
Ci tenne a precisare. <Come mai ?>
I due agenti si guardarono in faccia e, sospirando, uno di loro, quello basso e tarchiato, parlò:<è ricercato. Per associazione a delinquere, per spaccio e per omicidio.> A Takemichi vennero i brividi. Anche se sapeva tutte queste cose su di Mikey, ogni qualvolta sentiva ciò che aveva fatto sentiva comunque una sorta di brivido percorrere la sua spina dorsale.
<Ed ha attualmente dei contatti con lui ?> Chiese sempre l'agente basso, l'altro, il più alto, si stava limitando a guardarlo. Gli metteva davvero tanto timore. Si sentiva a disagio sotto quel suo sguardo inquisitore.
Takemichi annuì, un po' in certo. <Sì, signore.> Non avrebbe mai dovuto mentire.
<Ne è proprio sicuro ?> L'agente, prendendo la sua cartellina nera e aprendola, prese fuori un'altra foto.
<Sì, signore.> Ripeté lui, ma si pietrificò quando l'altro appoggiò sul tavolo un'altra foto. Era una foto recente che raffigurava lui in camicia e pantaloni, i suoi abiti da lavoro, ed era accompagnato da Mikey. Era il giorno in cui era partito, l'ultima volta in cui lo aveva visto. Ricordava i vestiti che aveva indossato e e che erano gli stessi che aveva quando era salito su quella nave per fuggire dal paese.
Con la coda dell'occhio, vide Hina portarsi una mano chiusa a pugno sulle labbra, lei rimase in silenzio ma capì la delusione dipinta sul suo viso.
<Sembra essere ancora suo amico, però.>
Takemichi rimase in silenzio, non rispose..si sentì scoperto in pieno. Cosa avrebbe mai potuto dire ? Non poteva negare ancora una volta davanti a una prova così evidente. Stette in silenzio. Era l'unica cosa che poteva fare. Quindi parlò sempre lo stesso agente, quello che gli aveva mostrato la fotografia.
<Signor. Hanagaki, sappiamo che lei è un bravo cittadino. Paga le tasse, ha un lavoro pulito e una famiglia. Sappiamo anche che il suo amico è sparito dalla circolazione, ha lasciato il paese e quindi è scappato anche dai radar della polizia.
Se non vuole finire nei guai con la legge, le conviene parlare e rivelare il posto nella quale è andato Mikey. È un criminale pericoloso, ha ucciso molte persone e probabilmente chissà quali affari loschi stanno continuando a girare in suo segreto, anche senza di lui. Quindi, le conviene collaborare per non mettere in pericolo se stesso e sua moglie...> Con un cenno del capo indicò Hinata sulla soglia della porta del salone. Takemichi si sentì con le spalle al muro, in trappola, e il suo corpo non rispondeva ai movimenti che il suo cervello gli stava ordinando di fare.
Avrebbe dovuto davvero collaborare con loro ? Non voleva che Mikey finisse nei guai e ne tantomeno mettere nei guai Hinata.
<Non so dove sia finito. Lui non mi ha voluto rivelare la sua posizione perché non voleva che andassi con lui.> Non mentí questa volta e l'agente lo capì. Gli bastò osservare il suo sguardo e capire che non stesse mentendo. Anni e anni di servizio che aveva maturato e lui aveva imparato a distinguere chi mentiva e chi invece no. E Takemichi era un uomo buono, si vedeva e lo capiva. Quindi annuì, fece un sospiro e si alzò; il collega lo seguì a ruota.
<Allora si dia una mossa a capire dove si trova. Non è finita qui, ci rivedremo presto.> Gli agenti abbandonarono il salone, Hinata li accompagnò alla porta di casa e uscirono da lì. Takemichi rimase in salone, in silenzio e da solo; era un uomo fottuto se non avesse fatto ciò che gli agenti gli avevano detto.
Era nei guai ? Oppure era una questione che si poteva risolvere con qualche piccolo sotterfugio?
Non lo poteva sapere.
In quel momento, il problema era un altro. Hinata. La donna lo stava guardando sulla soglia della porta. In silenzio. Sentiva che quella sera l'avrebbe passata sul divano e la donna aveva ragione. Dopotutto le aveva mentito, non le avrebbe data nessuna colpa se non gli avesse rivolto più la parola.

<Come mai non me ne hai parlato?>
Disse la donna, avvolta in un cardigan colore crema che aveva indossato frettolosamente per coprire il pigiama rosa che indossava al di sotto. Non aveva avuto il tempo di cambiarsi siccome la visita di quei poliziotti era stata improvvisa.
Si trovavano nella cucina. Lei era vicino al piano cottura mentre si versava dell'acqua bollente in una tazza in ceramica bianca, per farsi una tisana. Takemichi, invece, si trovava seduto sullo sgabello posto sotto la penisola.
<Perché avrei dovuto?> Lui chiede con un filo di voce, fissando la donna.
<Perché avremmo potuto risolvere la questione insieme.> Disse lei, alzando di poco la voce. Era nervosa, e delusa. La sua voce era stanca.
Aveva bisogno di una bella dormita.
Takemichi rimase in silenzio, la guardò.
<Non ti ha detto dove sarebbe andato ?>
<No.> Scosse la testa.
<Perché lo volevi seguire ? Stai cercando di coprirlo per caso ?>
<È un amico.> Rispose lui con voce ferma, incrociando lo sguardo con quello della donna. È la persona che amo. Avrebbe voluto dire. Ma se lo tenne per se, ovviamente, già aveva troppi casini per la testa e nella coppia, non c'era bisogno di crearne altri.
<È un killer, Takemichi. È una persona orribile. Chissà cosa ha fatto ed è anche ricercato dalla polizia. Non siamo al sicuro, devi scoprire dove si trova.>
Lui fece un sospiro e abbassò lo sguardo sulle mani intrecciate sul piano della penisola.
Rimase in silenzio. La donna scosse la testa e uscì esausta dalla cucina, rimanendolo nuovamente da solo.

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