JASON TODD

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La sera era arrivata già da un pezzo ed il buio copriva San Francisco. Erano circa le undici e mi trovavo a guardare dalla grande vetrata, della torre dei Titans, le luci che illuminavano la città e si disperdevano nel blu scuro della notte. Lì in piedi, senza fare nulla di preciso, solamente a fissare il vuoto davanti a me. Sentii dei passi provenire dalla mia sinistra ma non mi voltai.

In quel posto erano tutti supereroi e poi, c'ero io. Un insulsa umana che non era nulla. Non avevo superpoteri, non facevo volare le cose, non distruggevo nulla con un semplice pugno. Sapevo a malapena combattere. Bruce, ovvero il mio padre adottivo, mi aveva preso sotto la suo custodia all'età di dodici anni dopo la tragica morte di mia madre in un incidente. Mi trovavo lì, in quella torre solo perché lui mi ci aveva mandato obbligando Dick, mio fratellastro, a tenermi lì con se. Non ero mai divenata veramente qualcuno per Bruce, non ero come Dick o Jason, entrambi Robin. Non funzionavo come Wayne voleva ma ormai esistevo nella sua famiglia, non portava spedirmi indietro.

«Sei ancora qui?» La sua voce mi risuonò nelle orecchie come una melodia nel silenzio.

La sua mano mi sfiorò i capelli lunghi poco oltre le spalle ed un brivido mi pervase la schiena. Non mossi un solo muscolo, i miei occhi fissi sul riflesso dello spesso vetro e allora lo vidi in faccia. Aveva una mascella ben squadrata e pronunciata che contornava labbra grandi e carnose. I suoi occhi verdi erano fissi su di me, come se fossi l'unica cosa che potesse guardare. Era poco più alto di me, giusto qualche centimetro ma mi faceva mancare l'aria ogni volta che si avvicinava. Quella notte indossava una tuta nera e una maglietta blu aderente che mostrava i segni dei muscoli.

«Che fai?» Chiese mentre i nostri sguardi si erano incatenati nel riflesso.

Deglutii a forza mantenendo il contatto visivo.

«Guardavo le luci di San Francisco» Mossi il viso portando il mento ad appoggiarsi sulla mia spalla destra, proprio dove si trovava la sua mano.

Sentii il calore delle sue dita sulla mia pelle chiara e delicata. Quando alzai lo sguardo lui mi fissò con quei bellissimi occhi color salvia. Quanto mi attirava, quanto lo bramavo ogni volta che me lo trovavo vicino. Volevo sentire le sue labbra sulle mie e assaporarle come se fossero cioccolato.

L'unico problema era che io e Jason eravamo fratellastri, e nulla di tutto quello che mi immaginavo poteva accadere. Avevo notato comunque che l'interessere proveniva da entrambi e una paura cresceva dentro me ogni volta che ci pensavo. Noi non dovevamo conoscerci di più, non poteva punto e basta.

«Ti manca Detroit?» Mi pose l'ennesima domanda che mi devastò

Mi mancava eccome Detroit. Era la mia città, dove ero nata e cresciuta. Lì avevo mia madre e il suo ricordo invece qui mi sentivo solo estranea al posto e non riuscivo ad ambientarmi. Non sopportavano di non potere andare al cimitero ogni giorno per la salutarla e raccontarle quello che mi accadeva da Wayne. Qui non facevo altro che state seduta sul letto di camera mia o in cucina a fissare il vuoto. Non ero nessuno per la squadra che invece si allenava ogni giorno.

«No sto bene anche qui, guarda quant'è bella San Francisco» Lo incitai a distogliermi lo sguardo per evitare di fargli notare una lacrima che mi scese dall'angolo interno dell'occhio.

«Non mi mentire Y/n, lo sai che non ti credo» Mi afferò le spalle saldamente e mi costrinse a girarmi verso di lui.

Gli guardai gli occhi come se fosse l'unica cosa che potessi fare il quella notte buia e silenziosa, in quella cucina deserta in cui gli unici cuori a battere erano i nostri.

Mi prese il viso tra le mani mantenendo il contatto visivo. Sentii un calore sconosciuto a me invadermi le guance fino a scaldarmi il cuore. Il respiro accelerò mentre la mia mente vagava a possibili avvenimenti. Il suo volto si stava avvicinando pericolosamente al mio e sapevo che attenzioni aveva così lo bloccai subito appoggiandogli un dito sulle labbra morbide.

«Jason, non possiamo» Strinsi i denti e serrai le labbra in una linea.

«Perché no Y/n? Perchè gli altri possono e noi no» Sentivo in filo di rabbia in lui tipica del suo carattere e con il tempo avevo imparato a sopportarla.

«Non esiste alcun noi»

Guardò oltre a me, guardò la vasta città espandersi alle mie spalle come se fosse l'unica via d'uscita. Abbassai gli occhi sulle sue mani chiare e rosate che si stringevano in un pugno facendogli risultare le nocche ancora più grandi del normale.

Mi schiarii la voce e lo sorpassai dirigendomi verso la mia stanza ma lui mi bloccò afferrandomi dal braccio. Non mi mossi, non girai la testa anche se avessi tanto voluto farlo. Il cuore mi batteva all'impazzata e sembrava volesse scapparsene via e quanto sarei stata felice se fosse successo davvero. Maledetti sentimenti, maledetto amore, perché esisteva?

«Y/n girati per favore» Mi supplicò e sentii la sua pelle a contatto con la mia prendere fuoco.

Chiusi gli occhi e mi feci cullare dal ricordo di mia mamma che mi facendo oscillare sull'altalena nel parco vicino a casa. Sentii di nuovo il vento fresco della primavera che mi muoveva i capelli sottili e corti. Le grida degli altri bambini che giocavano e l'abbaiare dei cani in lontananza. Era una giornata calda e afosa, coperta da un cielo scuro. Portavo uno dei miei vestiti preferiti che tenevo ancora nel mio armadio da anni. Era giallo con tanti fiorellini su diversi strati di tulle chiaro e quando piroettavo su me stessa questo si alzavo. Mi sembrava di essere una principessa al suo ballo. Mi mancava vivere la mia vita con spensieratezza, sentire il vento contro il viso ma continuare a correre e, se cadevo, di rialzarmi ancora più sorridente.

Mi girai di scatto quando tornai alla realtà, mi concentrai sui suoi grandi occhi verdi e in poco mi trovai le sue labbra sulle mie. Fu bellissimo, eccitante e spaventoso allo stesso tempo. I nervi mi si irrigidirono in un primo momento poi mi rilassai e feci scorrere le mani sulla sua schiena, poi sulla nuca per raggiungere i morbidi capelli neri ancora umidi da una recente doccia. Le sue mani mi avvolsero la vita e mi tirò a se sentendo, anche se attraverso i vestiti, il suo corpo duro e muscoloso.

Approfondì il bacio e mi constrinse a schiudere le labbra, la sua lingua si legò alla mia come se fossero state fatte apposta per incastrarsi alla perfezione. Un piccolo gemito mi scappò tra un bacio e l'altro finchè entrambi non fummo troppo stanchi. Mi staccai sentendo i miei polmoni minicciarmo di dargli aria. Avevo le guance calde e molto probabilmente rosse e il fatto che non togliesse le mani dai miei fianchi non aiutava.

«Y/n visto? Noi possiamo tutto finché stiamo bene» Mi disse con un sorriso che mi sciolse completamente come burro al sole.

«Siamo fratelli» Sussurrai.

«Fratellastri» Mi corresse per poi buttarsi di nuovo contro la mia bocca.

La mattina seguente mi svegliai con un forte mal di testa ma con la felicità alle stelle. La sera precedente finimmo per passare ore sul divano a parlare del più e del meno senza badare a chi si trovava in quello stesso posto, come se fossimo solo lui ed io. Solo noi. Un noi che forse sarebbe potuto esistere e avere un futuro.

Quando raggiunsi la cucina trovai tutti quanti a fare colazione insieme già pronti per un ennesimo allenamento. Io avevo gli occhi impastati e il lungo pigiama ancora addosso e la vergogna mi risalì il corpo. Ero nel posto sbagliato al momento sbagliato come ogni volta che vagavo per quella immensa torre.

«Dormito bene?» Chiese Dick seguendomi con gli occhi fino al frigo dove afferrai la tanica di latte e ne versai un po' nella mia tazza preferita. Aveva Belle della Bella e la Besta, il mio cartone animato preferito fin dall'infanzia.

«Non proprio» Guardai Jason seduto a capotavola sull'isola marmorea mentre sorseggiavo la bevanda fredda. Mi sorrise ricambiando lo sguardo, al che il mio cuore mancò un battito.

Non avremmo mai detto a nessuno di quello che saremmo diventati per molto tempo. Eravamo noi, solo noi ed il nostro piccolo mondo. Nostro e basta. Ogni volta che lo sentivo su di me mi suscitava emozioni contrastanti e completamente nuove. Come un fiore che sboccia. Lo seguivo come il girasole seguiva il sole. In poco era passato da essere niente ad essere il mio tutto. Ma era una lunghissima storia e finalmente mi sentii protagonista della mia storia. Ero io a comandare il mio destino e il mio futuro e nessuno poteva mettermi il bastone tra le ruote. In fondo ero figlia di Bruce Wayne.

Angolo autrice
Ciao! Come state? Spero tutto bene. Eccovi un altro immagina e questa volta su richiesta di emptyliz. Spero che possa piacervi. Alla prossima amici!
~blackpeach🖤

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