Verità da nascondere

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Ci sono diversi tipi di dolore: quello fisico, brutale inconfondibile nella sua manifestazione.
C'è quello spirituale o affettivo, che tende a non lasciarci mai del tutto, come una cicatrice sul cuore, e poi ce n'è uno molto più subdolo che si può definire come "l'assenza del dolore", perché chi lo sperimenta ne è talmente sopraffatto da non avvertite più nulla per non impazzire. È un po' come morire continuando però ostinatamente a respirare.
Simenon Vargas avrebbe davvero voluto essere in quell'assenza di dolore simile al morire, invece la sua mente per quanto provata continuava a restituirgli la sofferenza che quel folle di Helevorn gli aveva inflitto per ore, forse per giorni, il giovane mago non sapeva più quanto tempo fosse passato.
La sua magia non lo aveva aiutato in quella discesa, quella lenta agonia che non lo portava da nessuna parte, eppure lo faceva sentire disperso in mille pezzi. Più il mezzelfo cercava di fare ricorso ai suoi poteri per sopravvivere, per difendersi, più stava peggio e tutto il dolore di quelle sue ferite si amplificava.
"Avanti Adanedhel, lascialo uscire... so che puoi farlo".
"No". Fu l'unica, ormai flebile, risposta di Simenon, ormai prostrato e sanguinante. Il mezzelfo cercò di alzare il volto verso il suo aguzzino, sfidando l'elfo ancora una volta, sapeva cosa Helevorn voleva da lui: il risveglio del demone.
Voleva che lui diventasse un Nephilim, un essere maledetto, come lo era stato suo padre Joseph, con più potere che vita per usarlo, con più forza che moralità.
No, non glielo avrebbe permesso, non avrebbe permesso a se stesso di cedere al demone, di diventare un assassino senza controllo, un flagello di terrore e sangue, come era stato per alcuni dei suoi avi, troppo deboli mentalmente per tenere a bada la maledizione del sangue Nephilim.
"Speravo mi rispondessi così, mi sarebbe dispiaciuto smettere di trovare modi originali e alternativi per farti soffrire, tenendoti cosciente..." gli rispose soddisfatto Helevorn, il mago dalle esili dita aveva un luccichio sadico in quelle sue  iridi d'ambra.

***

"Maledizione!" Gridò Callisto mandando in frantumi contro la parete, la ciotola che Oren gli aveva porto per lavarsi il viso.
"Perché queste maledette gambe non vogliono collaborare? E perché quel dannato mago mezzelfo non dà notizie di sé?". Continuò lo stregone, rivolto più a se stesso, che alla guardia silenziosa alle sue spalle.
"Se continui così Calisto, in questo castello non ci saranno più piatti né ciotole. Te l'ho già detto. Io quello che dovevo fare l'ho fatto, sei tu che non vuoi guarire..." Gli ricordò a mo' di ramanzina la guaritrice.
Gretismar doveva avere più o meno venticinque anni, anche se era difficile attribuire l'età ad una druida, però, pur essendo giovane certe cose non le mandava certo a dire. In più aveva preso a chiamarlo in quello strano modo allungando la "l" in quel suo accento spagnolo della costa, che a Callisto proprio non andava giù.
"E, sentiamo, che cosa dovrei fare secondo te?" Domandò l'elfo sarcastico.
"Esiste forse un abracadabra o un ochetipoccheti, insomma una qualche formula magica in grado di restituirmi il poter camminare? Sono uno stregone per gli déi, e non sono nemmeno capace di usare la magia per guarirmi!" Dalla mano di Callisto furono lanciate, per frustrazione, piccole schegge fredde e luminose in direzione della parete opposta, andando inavvertitamente a colpire un quadro anonimo appeso alla parete.
O che avrebbero dovuto colpirlo.
Invece le piccole schegge ghiacciate si dissolsero ad un palmo dalla tela polverosa e annerita dal tempo, sciolte da una patina invisibile che proteggeva quel paesaggio dipinto, come se fosse stato presente scudo, uno scudo incantato.
"Cosa diavolo?..." si domandò Callisto, improvvisamente incuriosito dallo strano fenomeno e da quel banale dipinto che aveva avuto sotto gli occhi tutta la settimana, ma al quale non aveva dato il minimo peso. Lo stregone, dimentico della propria temporanea inabilità, fece per alzarsi, finendo per cadere un'altra volta sul pavimento.
"Signore, posso esserle d'aiuto?" Chiese Oren, mentre Gretismar guardava anch'essa con rinnovato interesse quello strano fenomeno appena accaduto.
"Dannazione... Oren, per favore, sorreggimi! Voglio avvicinarmi al quadro!" Callisto imprecò quando Oren tentò di rimetterlo in piedi, poiché i suoi piedi sembravano solo zavorre, senza alcuna sensibilità.
Venne in aiuto della guardia anche Gretismar, che sorreggendolo dall'altro lato, sotto l'ascella, riuscì a far giungere L'elfo ad un palmo dal quadro.
"Mi servirà una sedia. Devo usare le mani, e non posso farlo se devo utilizzarle per reggermi a voi due..."
Oren, armeggiando con lo stivale, allungò allo stregone una seggiola che stava lì accanto, badando al contempo di sorreggere il peso di Callisto, che non poteva fare affidamento sul proprio equilibrio.
"Lasciatemi solo" ordinò l'elfo,una volta che si fu seduto davanti a quel quadro.
"Ma..." fece per protestare Oren, molto ligio agli ordini dati dal suo padrone Vargas.
"Venitemi a disturbare solo se arrivano notizie del mago, va bene?".
Lo stregone non disse altro, immergendosi in una sorta di meditazione, i due si congedarono scuotendo la testa.
"Per me sta diventando matto... sai succede..." disse Oren facendo il segno con le dita.
"E lo dici proprio tu che sei un fantasma?" Gli rispose Gretismar ridendo.
"Forse l'unica sana qui sono io..." disse guardandosi intorno.
"Calisto non è folle. C'è qualcosa in quella stanza, in quel quadro, in questo castello..."
"A parte i fantasmi vuoi dire?" Chiese Oren con un sorrisetto sarcastico.
"Sì, il castello cela qualcosa, o qualcuno. Ne ho percepito la presenza..."Ammise Gretismar abbassando la voce.
"Se non fossi già un fantasma, direi che mi stai facendo morire di paura..." disse Oren, scoppiando in una grassa risata che poco si addiceva al suo essere "incorporeo".
"Certo che c'è qualcosa. E come potrebbe non esserci? In questo luogo si è consumato un massacro, e si è spesa molta magia, magia oscura, magia antica, magia proibita... è normale che questo castello, le pietre stesse, portino memoria dello scontro: non si stermina la famiglia di un Nephilim senza lasciare traccia. La maledizione grava ancora sulle nostre teste, altrimenti io non sarei ancora qui". Oren si fece cupo e se ne andò, lasciando Gretismar a pregare la natura di proteggerla e benedirla contro ogni male, visibile e invisibile.

Schegge di fuoco. Scintille di ghiaccioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora