Capitolo 1

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Dolcemente Elena poggiò il suo volto nel petto del marito, Jasper. Voleva nascondere il suo viso coperto di lacrime al mondo, per non dargli la soddisfazione di vederla soffrire. Elena aveva perso il suo piccolo quando era solo al quarto mese di gravidanza e riteneva il mondo responsabile di questo dolore. Elena e Jasper, infatti, non riuscivano ad avere figli e quello era stato il loro piccolo miracolo ed ora gli era stato tolto con crudeltà. -Un aborto spontaneo- così le dicevano i medici, ma lei sentiva o avrebbe voluto ancora sentire il suo piccolo, ma sapeva che non era così e, soprattutto, sapeva che non le sarebbe successo mai più.


Era una calda giornata di luglio e mentre stavano a tavola Elena aveva sentito una piccola fitta allo stomaco, un sussulto improvviso che partiva da dentro, lì dove stava crescendo una nuova vita. Inizialmente pensava fosse una conseguenza della gravidanza, una docile dimostrazione che quella creatura esisteva realmente ed era a pochi centimetri dalla vita reale, così non le aveva dato molta importanza; ma nel momento in cui le fitte si fecero più pungenti e più frequenti, la preoccupazione per un'inconscia consapevolezza di pericolo, la portò a richiamare l'attenzione di Jasper, il quale, allarmato, si avvicinò alla moglie e, prudente, decise di accompagnarla in ospedale. Elena si alzò cautamente dalla sedia ma fu costretta a risedersi nell'immediata frazione di secondi che seguirono quel gesto così ardito perchè una fitta la colpì in pieno allo stomaco, come una pugnalata. Il dolore era troppo acuto da sopportare e tale da impedirle di alzarsi e di camminare autonomamente. Fu Jasper, che desiderava quel bambino più di chiunque altro, a prenderla in braccio e, con estrema delicatezza, la pose in macchina, facendo attenzione a non esercitare un'eccessiva pressione sull'addome della moglie, prostrata dalla sofferenza. Durante la rapida corsa all'ospedale, Elena stava sempre peggio, si reggeva la pancia con affetto, sperando di alleviare il dolore o perchè, istintivamente, cercava di proteggere il piccolo che aveva in grembo. Sapeva che troppe erano le cose accadute in quegli interminabili minuti per poter porre rimedio con il solo tocco di una mano, ma noncurante di questa consapevolezza riusciva ancora a sperare che tutto avrebbe avuto una fine positiva. Giunti in quell'edificio così grande, ma anche così pieno di dolore, Jasper scese dalla macchina richiamando l'attenzione dei paramedici poggiati sul davanzale di quel portico troppo incombente per lasciare alla vista umana di scorgere l'interno. L'allarme fu immediato: si passò da una condizione di estrema tranquillità ad un'agitazione paragonabile ad un mare in tempesta in così pochi secondi che, per un essere umano in estrema agonia, è inammissibile prendere coscienza di ciò che gli accade intorno. Il servizio medico di turno, avvisato della situazione, corse incontro alla macchina con una barella sulla quale venne delicatamente poggiata la ragazza. Il dolore era troppo forte da sopportare ed Elena aveva quasi perso conoscenza: sentiva le voci ovattate, vedeva il rapido susseguirsi delle lampade al neon del soffitto e con fatica riusciva a mettere a fuoco volti sconosciuti, incorniciati dal blu dei loro camici. Quando entrò in una delle mille stanze dell'ospedale, ad aspettarla vi era una giovane dottoressa che, avvisata dell'imminente arrivo aveva già preparato la sala. Con leggerezza sollevò la maglietta che copriva quel tenero rigonfiamento, e con la cautela con cui solo mani esperte possono muoversi, palpò la parte alta dell'addome, lì dove ad attirare l'attenzione era stata una piccola concavità. Ormai il dolore era passato ed Elena desiderava solo andarsene a casa come se nulla fosse successo, ma sapeva che non sarebbe stato possibile, perchè era consapevole che quelle fitte erano un male ed ogni male ha la sua conseguenza.

"Dovremo fare degli accertamenti per verificare le condizioni di salute del bambino" le disse la dottoressa Serre dopo aver visitato la ragazza senza, però, aver potuto approfondire gli esami.

"La prego, faccia il possibile per salvare il mio piccolo" le chiese Elena, con le lacrime agli occhi. Era l'espressione di chi si aggrappa disperatamente alla speranza, di chi rimuove completamente dalla mente l'ipotesi di una sconfitta. L'espressione di chi ha voglia di lottare, di chi non riesce a scoprire la vera realtà, o non vuole scoprirla, perchè troppo dolorosa da affrontare.

Ma quello che la dottoressa lasciava trapelare non poteva essere altro che dolore. È in queste circostanze che la capacità di autocontrollo di un medico viene messo a dura prova. Fingere di stare bene, talvolta, è più semplice che far credere che siano gli altri a stare bene.

"Ce la metterò tutta." La abbracciò con un tenero sorriso. "Vi lascio un po' soli. Torno più tardi."

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