Elena era uscita a fare un giro prima di riimmergersi nello studio matto e disperato che precede di pochi giorni il tanto temuto esame. Era seduta sul muretto della fontana dei Quattro Fiumi di Piazza Navona ad attendere l'arrivo dell'amica Sofia con la quale si era data appuntamento quella mattina per andare a fare colazione insieme. Nella piazza, a qualche passo da lei, era stato allestito un palcoscenico al quale non aveva prestato molta attenzione. Era da giorni sotto stress per la discussione di laurea e un'esibizione mondana non sarebbe bastata per distoglierla dalla foga dello studio. Non si era accorta che la piazza iniziava a riempirsi, insolitamente, di ragazzine, genitori disposti ad attendere dalla mattina sotto il sole l'arrivo di un'artista che quella sera li avrebbe allietati con la sua presenza. Infatti, di lì a qualche ora su quel palcoscenico avrebbe fatto il suo ingresso Max Pezzali. Elena, ignara della manifestazione, prevedeva una serata tranquilla sui tanto odiati libri dell'università.
Potrei stare ore e ore qui
ad accarezzare
la tua bocca ed i tuoi zigomi
senza mai parlare,
senz'ascoltare altro nient'altro che
il tuo respiro crescere,
senza sentire altro che noi,
nient'altro che noi.
Quando udì quella voce, tanto conosciuta quanto amata, non riuscì a contenere lo stupore nel vedere che uno dei suoi cantati preferiti stava facendo le prove proprio lì, di fronte a lei. Si avvicinò al palco come attratta da un magnete, guidata da una forza maggiore verso il centro di quella carcassa di gente. Aveva gli occhi puntati verso l'alto per non perdersi nemmeno un gesto di quell'uomo comune ma diverso. Era la fama ed il successo che lo rendevano immune dal soggiogamento dell'invisibilità, dall'indifferenza popolare.
"Ehi...stia attenta!"
Un ragazzo dalla statura alta con definiti muscoli a stento contenuti in una camicia forse troppo stretta per contenere quel fisico prorompente, la rimproverò per avergli rovesciato la birra addosso. Elena, infatti, nella foga di raggiungere il palco, non si era accorta di aver urtato, distrattamente, quel ragazzo con forse eccessiva brutalità.
"Mi scusi. Io non volevo..." Le parole le si fermarono in gola quando, alzando lo sguardo verso quel viso incorniciato dal bagliore dei raggi estivi, si trovò a dover combattere con la perfezione di due occhi color ghiaccio violentemente contrastati dal fiume nero del ciuffo che nell'urto aveva rotto l'argine perfetto sopra la fronte e si era riversato sugli occhi.
Potrei star fermo immobile
solo con te addosso
a guardare le tue palpebre
chiudersi ad ogni passo
della mia mano lenta che scivola
sulla tua pelle umida
senza sentire altro che noi
nient'altro che noi.
I due ragazzi restarono per qualche interminabile secondo ad osservarsi, catturati, l'uno perso nello sguardo altrui, sconosciuti eppure familiari. Si erano trovati senza nemmeno cercarsi. C'era qualcosa che li attraeva, li teneva uniti. Elena sapeva che non avrebbe potuto dimenticare quell'abbraccio immaginario. Si, perchè quegli occhi la facevano sentire al sicuro come se qualcuno la stesse stringendo a sé per proteggerla; e quel qualcuno era a pochi centimetri da lei.
"Elena! Elena!" Era Sofia che finalmente l'aveva trovata tra quell'onda di persone.
Elena, chiamata a rispondere alla realtà, fu costretta a distogliere lo sguardo per osservare che l'amica la stava raggiungendo. Non voleva allontanarsi, non prima di aver avuto la certezza che si sarebbero rivisti, ma quello che riuscì a dire fu solo:
"Mi dispiace, io non volevo...Devo andare." Stava per tornare da dove era venuta, dimenticando nell'agitazione che a pochi passi un'artista allietava a voce sommessa il suo cuore; ma qualcosa di inaspettato la fece rinsavire.
"Elena." Fu tutto quello che riuscì a dire lui.
"Come conosce il mio nome?" Tornò indietro stupita, contenta, fiduciosa che il destino potesse lasciarle traccia di lui.
"È appena stata chiamata a rispondere da quella ragazza che si sta avvicinando." Elena si voltò per vedere Sofia che si sbracciava tra la folla per farsi notare, ma ancora una volta la voce di quel ragazzo le fece ignorare la mimica dell'amica.
"Io sono Jasper. Piacere."
"Piacere." Gli strinse la mano e mai stretta fu più sicura e confortevole di quella in cui la sua mano trovò dimora e consolazione. Osservò quella stretta: la sua mano così piccola da essere completamente coperta da quello scudo di pelle che apparteneva a qualcuno di così distante ma così vicino. Alzò lo sguardo per osservarlo un'ultima volte e, senza rendersene conto ripetette:
"Piacere."
"Ti ritrovo stasera, vero?"
Voleva conoscerla, voleva rivederla. Era forse un appuntamento quello? O la stava solo illudendo? Qualunque cosa fosse, Elena non aveva intenzione di arrendersi senza nemmeno provare, di rinunciare per paura di perdere.
Non c'è niente al mondo
che valga un secondo
vissuto accanto a te, che valga un gesto tuo,
o un tuo movimento,
perché niente al mondo
mi ha mai dato tanto
da emozionarmi come quando siamo noi,
nient'altro che noi.
"A stasera."
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Fiocco rosa
ChickLitDolcemente Elena poggiò il suo volto nel petto del marito, Jasper. Voleva nascondere il suo viso coperto di lacrime al mondo, per non dargli la soddisfazione di vederla soffrire. Elena aveva perso il suo piccolo quando era solo al quarto mese di gra...