Capitolo 3

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Entrarono insieme e fu proprio la dottoressa a iniziare. Era difficile trovare le parole giuste, doveva evitare il coinvolgimento emotivo: era l'unico modo che aveva per non abbattere la paziente.

"Vi prego di non chiamarmi dottoressa, il mio nome è Annalisa." e aggiunse rivolta alla ragazza: "Posso farti una domanda?"

"Ditemi."

"Tu quanti anni hai?"

"Ne ho venticinque ma mai come in questo momento mi sento una bambina! Vorrei scappare, avere qualcuno che mi dicesse come comportarmi e cosa fare, ma sposando Jasper sono diventata adulta, e di questa scelta non mi pento." Poi, consapevole del vero motivo di quella visita, chiese: "Come sta il bambino?"

Ma la risposta arrivò prima delle parole. Le bastò una semplice occhiata all'espressione prima di Annalisa e poi di Jasper per comprendere la realtà dei fatti, per concretizzare l'idea che parte della sua stessa vita se ne era andata per sempre. Talvolta è difficile costringere gli occhi a mentire: sono forse quello che di più introspettivo e veritiero possa esistere, sono gli unici in grado di smascherare quello che con ostilità si cerca ingenuamente di nascondere. E gli occhi dei due ambasciatori della verità non erano riusciti nel loro intento di tenere, cautamente, gli altri lontano da quel mondo interiore, a cui solo loro pensavano di avere accesso. Annalisa, non senza fatica, le spiegò la situazione. Ad ogni parola lottava con se stessa, affrontava la dura rese al dolore, costringeva la sua imperturbabile volontà a richiamare indietro le lacrime. Lo sforzo era notevole, ma necessario: talvolta si è costretti a scendere a compromessi con se stessi per il bene degli altri.

"Il bambino... era già morto quando è arrivato in ospedale. Quella che hai affrontato fino ad oggi era una gravidanza a rischio sin dall'inizio, è questo che ti ha portato a subire un aborto. Era qualcosa a cui avreste dovuto essere pronti, qualcosa con cui voi avreste dovuto iniziare a convivere, pur se con dolore, sin dai primi giorni; mi meraviglio che il vostro ginecologo non vi abbia avvertiti del pericolo."

Il marito provò a consolare quella creatura così minuta, quella chiara testimonianza che l'essere umano deve, prima o poi, arrendersi alla propria fragilità. Temeva si potesse frantumare in mille pezzi da un momento all'altro così la abbracciò, la racchiuse tra le sue braccia, come ad essere pronto a raccogliere i mille pezzi che da un momento all'altro avrebbero sostituito quel corpo così compatto. Ma non aveva ancora fatto i conti con la sua capacità di autocontrollo: scoppiò a piangere insieme a lei e, non volendosi mostrare fragile, fu costretto ad abbandonare il suo ruolo di scudo per uscire dalla stanza, prendendo a calci qualunque cosa si trovasse sul suo cammino. Era furioso, incapace di contenere la sua rabbia, il suo dolore. Quello che voleva era solo distruggere l'intero mondo materiale, come distrutto era ora il suo stato d'animo. Annalisa, rimasta sola con Elena, le si sedette accanto e l'abbracciò con un gesto materno, rassicurante: fu lei a confortarla, ad incoraggiarla. Fu lei a rappresentare, in quel momento, l'ancora di salvezza per quella nave alla deriva. L'unica a cui potersi aggrappare per non sprofondare.

"Non disperarti, so che è dura ma ce la farete. Siete giovani, avete tanto tempo avanti e potrete avere tutti i bambini che volete. Non è ora che devi arrenderti, ma continuare a lottare, continuare a prenderti quello che ti spetta."

"Il nostro ginecologo non la vedeva come te, diceva che non avremmo potuto avere bambini; già era un piccolo miracolo questa gravidanza!" fu a questo chiaro riconoscimento di sconfitta che le lacrime scesero giù senza alcuna sosta: era un continuo susseguirsi di singhiozzi e respiri smorzati dalla sopraffazione del dolore, era l'imprescindibile voglia di gridare, che cercava disperatamente di essere messa a tacere.

Annalisa cercò di tranquillizzarla. "Non ti preoccupare, faremo tutti gli accertamenti necessari. Vi seguirò io personalmente, sempre se vorrete! Ma credimi, se c'è anche la più remota possibilità di poter dare alla luce un bambino, quella possibilità sarà il vostro traguardo certo."

Elena, si sentiva un po' più rincuorata e fu lei, stavolta, ad abbracciare la dottoressa, abbandonandosi tra le sua braccia, perchè pur se giovane, vedeva in lei una figura materna e soprattutto una persona che l'avrebbe potuta aiutare. Era la lucida idealizzazione di una protezione, di una guida, di quella presenza che fino ad ora le era venuta a mancare.

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