Capitolo 6

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Il piano di ripresa venne subito messo in atto, non voleva perdere nemmeno un secondo: non è a casa che si diresse, ma decise di recarsi presso la miglior pasticceria di Roma per comprare un vassoio con le delizie più appetibili. Conosceva la sua piccola meglio di chiunque altro e quello che di sicuro non avrebbe ignorato era la golosità a cui era propensa. Al ritorno in ospedale, quando fece capolino sulla porta della stanza la sua figura venne accompagnata da quella di Annalisa. Elena dormiva ancora, o forse era quello che avrebbe voluto fare credere nel momento in cui i due si fossero messi a parlare della sua condizione, per avere, così, libero accesso ad informazioni che forse non avrebbe potuto udire. Ma quando Jasper le fu vicino, abbastanza da farle ritornare l'appetito con il dolce odore di quel contenuto misterioso, i suoi occhi accolsero la luce con un infantile gesto di intorpidimento. Non ci volle molto per capire a quale sorpresa in marito facesse riferimento poche ore prima e quel vassoio che le si stagliava, beffardamente, sotto il naso era la chiara testimonianza che lui era a conoscenza di ogni aspetto del suo essere. Quando Annalisa adocchiò quello che, teoricamente. non avrebbe nemmeno dovuto essere presente in una stanza d'ospedale, non potette astenersi dal svolgere il suo ruolo:

"Lei non potrebbe mangiare..." ma gli occhi di Jasper le supplicavano di fare un eccezione, erano un chiaro strumento manipolatore: impossibile resistere alla loro influenza, alla loro determinazione; impossibile contraddire una volontà così forte ed altalenante.

"E va bene, ma solo una!"

Jasper baciò la moglie e, scherzando le mise, a tradimento, un pasticcino ricoperto di cioccolata in bocca, sporcandogliela tutta. Sembravano due bambini che teneramente si fanno a dispetti, due infanti ancora ignari della vita. Elena non potette fare a meno di ridere con il marito. Era evidente: Jasper stava facendo di tutto per distrarla e per farla sorridere. Voleva di nuovo sua moglie, quella vera, quella che non si arrende. Quella creatura dotata di straordinario coraggio, in grado di prendere a morsi la vita. Quella stessa notte, i ragazzi dormirono insieme per poi preparare i bagagli il mattino seguente. Erano finalmente liberi da quell'agonia in cui erano stati costretti a vivere, da quell'ondata di malumore che li investiva e travolgeva da ogni angolo di quell'edificio. Sicuramente quello non era il luogo in cui la sofferenza di cui erano prigionieri, avrebbe potuto essere contagiata con qualcosa di totalmente opposto. La speranza era che, una volta fuori di lì, il mondo li avrebbe accolti con nuovi colori, li avrebbe permeati con il buonsenso di chi è in grado di rialzarsi dopo una caduta. Arrivata a casa, Elena, lentamente, titubante e vacillante, varcò la soglia di quella che avrebbe dovuto essere la camera del bambino. Quella stanza, erroneamente già preparata da tempo, era la dolorosa constatazione di un futuro cancellato. Piangendo, la ragazza concesse alla rabbia di prendere il sopravvento e non riuscì ad astenersi dal lanciare per aria tutto quello che del bambino era testimonianza. Jasper, sentiti gli incessanti rumori, salì velocemente le scale per correre dalla moglie, trovandola ricoperta di lacrime, con la disperazione dipinta in quegli occhi ormai privi di ogni forma di energia. L'unica cosa che potette fare fu quella di abbracciarla da dietro, immobilizzandola, premendo contro se stesso quel corpo pervaso dal tremore. Elena si fermò e, stremata, concesse alle gambe di cedere sotto il peso incombente di un corpo privo di vitalità, scivolando debolmente a terra, con il marito dietro di lei che si inginocchiò per sostenerla, per impedire che una qualsiasi ulteriore ferita si aprisse su quella sagoma indistinta. Piangeva ancora quando poggiò la testa sulle ginocchia di Jasper e, prendendo un pupazzetto che le stava vicino, si rannicchio su se stessa, abbandonando ogni tipo di difesa. Il ragazzo, consapevole che nessuna parola proferita le avrebbe restituito la felicità, preferì assecondare il silenzio, accarezzandole la fronte ricoperta di capelli, impedendo all'istinto di prendere il sopravvento, alle lacrime di rompere gli argini in cui erano serrate, alle urla di irrompere nel muto rumore di quel dolore.


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