Capitolo 17

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And you lie looking in my eyes,
I'm walking on the edge of your knife,
But you don't give a fuck.
I'm you victim and I like it

You push me to the edge 'cause you don't care about me.
Won't you end me now?

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Le dita di Lauren esploravano luoghi di me di cui non conoscevo l'esistenza. Con la lingua scava un pertugio fra la fosse dell'odio e la base del mio collo. La mano premuta contro il mio fianco mi tratteneva a lei, facendomi subire ogni movimento del suo corpo, riducendo il mio ad una preghiera continua. Di rado interrompeva i morsi lungo la mia pelle per guardarmi, ma non diceva niente. Non credo fosse paura la sua, bensì incredulità. Non credeva a se stessa. Beh, nemmeno io.

Non avevamo acceso la luce, sentendoci a nostro agio nel buio, dove le forme potevano essere vagamente ingannate e, se si era bravi, anche i fatti. Le sue dita risalirono lungo la mia coscia, trascinando l'orlo della gonna fino al mio fianco. Mi dicevo fosse troppo tardi per fermarsi. Sbagliavo: non è mai troppo tardi per cambiare idea... semplicemente non volevo. Ma non detenevo tutto questo franco coraggio. Potevo lasciarmi baciare nel buio, quello era il massimo eroismo che avessi.

Lauren mi spinse contro la parete, tenendomi ferma ogni qualvolta il bacino scattasse verso di lei. Mugolii frustrati mi tradivano, prolungando il suo gioco più di quanto desiderasse. Mi accontentò solo per metà, facendo pressione con il ginocchio sulla mia parte più sensibile. Una scossa mi colpì alla base della schiena, irrorandosi lungo la spina dorsale per scivolare di nuovo al punto di partenza sotto forma di gocce. Era troppo.

Afferrai impulsivamente la sua mano guidandola verso il mio centro, ma fu sufficiente sfiorarmi per contraddirmi. Imprigionò abilmente la mia volontà nel suo palmo, immobilizzandomi il braccio dietro la schiena. Con questa posizione di vantaggio, mi voltò facilmente, schiacciando la mia guancia al muro mentre mordeva la pelle della mia spalla, abbassando progressivamente la camicetta. Mugugnavo inviperita, scalpitando con il bacino per trascinarla al mio stesso patibolo. Sfregai il mio corpo contro il suo, percependo il suo alito spezzarsi all'altezza delle mie scapole. Un sorriso compiaciuto mi venne cancellato dal volto in un bacio famelico.

Non avevamo mai smesso di lottare, avevamo solo trovato un'altra battaglia dove morire.

Il mio odio non si era placato, anzi. Era più vivo che mai. Bruciava in ogni parte di me, ma era acqua. Sudavo per la fiamma, mi polverizzavo per la vampa. Era pur sempre fuoco. Lauren mi permise di scoprire quanto passione e rabbia fossero simili, e perché spesso si confondevano fra loro: il colore è sempre rosso, che siano petali o sangue.

In un attimo di debolezza, mi divincolai dalla presa e riuscii a voltarmi verso di lei. Immersi la mano nella sua nuca, azzannando le sue labbra prima di allievare il dolore con la lingua. Volevo sapesse chi comandava. Le sbottonai la camicia e il reggiseno, avventandomi sulla parte turgida del suo seno. I suoi gemiti erano più una gloria che un piacere, o così mi dicevo. Lauren mi trattenne a sé, riconoscendo, forse per la prima volta, di aver bisogno di me. Dedicai lo stesso trattamento all'altra coppa, lasciando un marchio violaceo proprio sopra la parte più rosea.

Lauren mi afferrò per i capelli, riportandomi alla sua altezza. Il suo sguardo minaccioso non aveva apprezzato la mia iniziativa. Le sogghignai in faccia. La corvina mi fece roteare, spingendomi sul letto. Tentai di mettermi seduta, ma mi era già a cavalcioni. Mi trattenne contro il materasso mentre si legava le capelli, fissandomi. Fu l'unico momento di tregua. Aggredì le mie labbra con un senso d'urgenza, ingoiando i miei gemiti. Con le mani trattenne i miei polsi lontano da lei, ispirando la mia creatività. Legai le gambe al suo bacino, sollecitandola a muoversi, ma ostacolò anche quel movimento col suo corpo, dominandomi. Racchiuse entrambi i miei polsi in una mano, mentre con l'altra tracciò interamente i contorni del mio corpo, facendomi sobbalzare sui punti più vulnerabili. Fece scivolare la mano sotto la mia gonna, soddisfacendo finalmente la mia fregola.

Non mi diede il tempo di abituarmi a quel contatto, entrando dentro di me senza preavviso. Un grido acuto si disperse nell'aria, ma Lauren lo ammutolì con la bocca. Le sue spinte mi rabbrividivano, squassando il mio corpo in più spasmi di piacere. Mi aggrappavo alla sua nuca, alle sue spalle, alle coperte, a qualsiasi cosa mi permettesse di conficcare le unghie. Lasciò che mi liberassi di tutti i gemiti, arrochendoli con dei baci sul collo. Solo sul punto di rottura, affondò i denti nella mia carne, marcando di viola quella notte nera.

Ricordo di essermi abbandonata al sonno come oblio. Ricordo di essermi svegliata senza con la condanna eterno del ricordo.

Era ancora notte e il corpo della donna giaceva supino dall'altra parte del letto. Poteva baciarmi, ma dormiva con la testa rivolta dall'altra parte. Fissavo il soffitto attonita, sconvolta da me stessa. Non era stata la parte intima a stupirmi, quanto il lungo piacere connesso alle mani dalle quali soffocavo. Credevo quelle mani potessero solo uccidermi, invece mi avevano plasmato.

Con cautela scivolai fuori dal letto. Raccolsi le mie cose senza produrre un minimo scricchiolio. Abbassai così lentamente la maniglia da non sapere se stessi effettivamente producendo pressione. Fu la lama di luce del corridoio a convincermene. Sgattaiolai fuori e trovai con mano tremolante la carta della mia camera. Solo una volta chiusa la porta alle mie spalle mi permise di respirare.

Scivolai contro l'uscio, riprendendo colore. Quello che avevamo fatto non superava il limite, lo azzerava. Adesso le regole erano un foglio bianco, i confini orizzonti. Credevo Lauren mi avesse cambiato la vita già una volta, ma non avevo ancora assistito alla seconda. Adesso chi ero: quella che la odiava o quella che la voleva? E se la volevo, era solo per odiarla fino all'ultimo spasmo? Quanto disprezzo c'era nel mio piacere?

Accesi la luce, confinando i dubbi al buio. Notai subito il foglio bianco sul tavolino. Era firmato a nome di Halsey. Merda! Mi ero completamente dimenticata la sua presenza.

Immagino il processo sia andato per le lunghe. Grazie per l'ospitalità e scusa per l'imbarazzo... Halsey.

Appallottolai il foglio nella mia mano, maledicendomi. Mi ripromisi di chiamarla, ma prima crollai in un sonno che non aveva niente di voluto. Era solo un'altra arresa di quella interminabile notte.

                                        *****

Il giorno dopo, non mi feci trovare in camera. Non mi feci trovare a Chicago. Ripartii due ore prima, senza salutare nessuno. Feci recapitare un biglietto ad Ally, invitandola a New York. Sparire non era la soluzione, ma era stata un rimedio già una volta.

Dinah venne a prendermi all'aeroporto. Camminai a testa alta verso di lei, sperando il rossore venisse placato dal mio contegno. La ragazza non sapeva niente, immaginava avessi anticipato il rientro solo per stress.

«Fammi un favore,» modulai la voce su una frequenza indistinta, «Non chiedermi mai niente di Chicago.»

«Si, capo.» Abbozzò un sorriso affettuoso, offrendosi di portarmi la valigia fino alla macchina.

Il viaggio fu taciturno, per quello che ricordo, sicuramente carico di fantasmi che, come spesso accade, erano solo pensieri.

Dinah mi ragguagliò ulteriormente sulle novità dell'ufficio, mi chiese se desiderassi fare una capatina a lavoro, ma le chiesi di accompagnarmi a casa. Mi aiutò a portare i bagagli su in camera, mi preparò la cena e si fermò a mangiare con me anche se aveva già cenato. Guardammo un programma in tv che non faceva ridere, ma per cui si impegnò a divertirmi. Verso l'ora di sera, si congedò.

Il minimo che potessi fare era ringraziarla. La strinsi in un abbraccio amorevole, dandole un bacio sulla guancia. Dinah mi afferrò nelle sue docili mani, squadrandomi il viso per trarne un indizio.

«Non voglio sapere niente, ma é andata così male?»

«Peggio di quanto saprai mai.»

E invece lo avrebbe saputo. E non sarebbe stata l'unica. Ma come spesso succede, quando ci imbattiamo nel peggio é solo il preludio del male maggiore.

Guilty, your honorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora