Capitolo 20

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When I fear of letting go
Reaching for the surface
Now I can see the shore
The strangest feeling hits me
That I've been here once before

————

I mesi trascorsero lenti fra incombenze e tribunali. Non sentii Lauren. La prima udienza era fissata a dopo le vacanze natalizie, perciò non avevamo motivi per contattarci e non volevamo usare espedienti, tantomeno la verità. E poi, questa verità, non capivo quale fosse quando prendevo il telefono in mano raccontami ogni sorta di bugia per rinnegare l'attesa.

La mia quotidianità era piatta nonostante le turbolenze. L'adrenalina dei processi era fine a se stessa e si esauriva appena il martelletto risuonava nell'aula. Avevo scelto un lavoro di per sé arduo proprio perché detenere in mano la vita delle persone mi elettrizzava, ma non c'era competizione fra me e gli altri. Non come fra me e Lauren. Quando entravo in un'aula, sapevo benissimo di aver già vinto. Una sicurezza mai scontata con Lauren. Forse mi piaceva il modo che aveva di spaventarmi, perché erano i momenti di paura ad avvicinarmi alla mia fragilità, ormai inumata assieme al mio passato.

Alcune volte solo chi ha aperto certe ferite può chiuderle. Le parole di Erika mi stordivano indistintamente durante la giornata, anche in momenti in cui ero indaffarata o distratta. Comprendevo solo allora quanto assillante potesse essere un pensiero, soprattutto quando lo nascondevi in parti di te lontane dalla testa.

Ero uscita con Christine un paio di volte, senza entusiasmarmi troppo per la sua assiduità. Non era colpa sua, anzi. Meritava qualcosa di meglio del semplice masochismo, perché era vero che non mi affezionavo a niente che non mi facesse un po' male.
E lei era troppo perfetta per conoscere l'altra parte delle lacrime.

Dinah era volata in California a conoscere i figli di Ally, mentre io avevo promesso di prenotare un volo in prima classe per la prossima volta. Nessuna delle due si era detta indignata per la mia decisione; capivano ci fossero ragioni arcane nella mia solitudine, che era sempre stata l'antidoto per ogni veleno. Un vipera mi aveva effettivamente tentato, promettendomi però tutto lo svago di un inferno. E avevo capito che é più facile dannarsi per passione che per vendetta, ma che se le due cose si rovesciavano nella stessa coppa si rischiava di bere il veleno dal proprio sangue.

Poco prima che partissi per Chicago, avevo ricevuto qualche telefonata da uno o l'altro notiziario, ma si stavano moltiplicando col passare dei mesi, tanto che Erika aveva acquistato un secondo cellulare per aiutarmi a smaltire il traffico telefonico. Ovviamente rifiutavamo tutti gli inviti e le proposte pubbliche, conoscendo bene le intenzioni poco nobili dei giornalisti. Prima di imbarcarmi verso casa, diedi disposizione ad Erika di non rispondere a nessuno e di prendersi anche lei qualche giorno di ferie. Come mi aspettavo accettò solo una delle due condizioni.

Partii una settimana prima di Natale, contemplando il manto bianco di New York dall'alto. La neve era l'unica eccezione per cui accettassi un Mondo più candido. Ero cresciuta col sole invernale di Miami, e quell'anno ci stavo tornando. Era già il secondo anno, a dire il vero, che rincasavo per le vacanze natalizie. Fosse stato per me sarei rimasta a New York a lavorare, ma mia sorella cresceva sentendo la mia voce dall'altra parte del Mondo; il suo prevedibile rancore mi rendeva indomita. É sempre così quando vuoi davvero bene a qualcuno: ti trovi dall'altra parte della paura.

Io mi trovai anche dall'altra parte del paese. Miami cambiava solo per assomigliare sempre di più a se stessa. I grandi viali alberati spaziavano sempre sul mare, le luci flessuose al neon disegnavano storie da non raccontare, la spiaggia conservava i ricordi di chi avrebbe dimenticato la parte scabrosa di sé stesso e ogni tramonto era l'alba di chiunque avesse un sogno. Inspirai a fondo.

Guilty, your honorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora