33. Paradosso della marionetta - Pt. 1

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Paradosso della marionettaPt

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Paradosso della marionetta
Pt. 1

















Avrei preferito non rimettere mai più piede al Down Nightclub. I ricordi dell'estate precedente, dove l'afa fasciava come maglioni troppo pesanti e le parole di Olivia erano canini nella carne, mi rincorrevano spesso, corridori a cui piaceva ripetere le stesse gare.

Ma dopo essermi lasciata sfuggire con i miei amici ciò che era successo a Rica solo la settimana prima, mi avevano praticamente obbligata a prendermi una sera dedicata a me stessa. Volevano che mi distraessi, che mi meritavo un attimo di serenità. Non avevano conosciuto quella donna, se non attraverso dei racconti occasionali, ma conoscevano il mio modo di rapportarmi con quel mondo.

Soprattutto se c'entrava un bambino.

Un bambino orfano, adesso.

I miei genitori mi avevano abbracciata forte, si erano persino offerti di accompagnarmi al funerale organizzato dal rifugio. Non me l'ero sentita, assistere alla sepoltura delle sue ceneri avrebbe solo provocato l'ennesima stretta al cuore e avrebbe generato ricordi dolorosi legati alla mia mamma biologica. Avevo comunque apprezzato quel loro modo di starmi vicina, nonostante volessero esserlo ancora di più. Ad ogni modo, sarei andata a trovare Rica in un secondo momento, da sola, umore permettendo.

Due pensieri, invece, furono in grado di consolarmi: il disegno che avevo fatto incorniciare e appendere in camera mia, e che sarebbe stata presente una foto, ad abbellire la lapide, che il personale era riuscito a adescare dalla carta d'identità della donna.

Perlomeno non sarà ridotta solo a un triste pezzo di pietra.

Perlomeno il suo volto non si limiterà a una data di decesso.

«Bevi.»

Accasciata su uno dei tavoli del locale, con il braccio sotto al mento e l'altro piegato sulla superficie di marmo fredda, fissai lo shottino trasparente che Gwenda, seduta di fronte, fece strisciare nella mia direzione. Dal cipiglio capii che non ammetteva repliche.

Finsi di non aver sentito e, piuttosto, mossi gli occhi: studiai quei fastidiosi led viola e verdi che incorniciavano gli angoli delle pareti, il bancone illuminato del barista, la ressa che si dimenava tra i tavoli lasciandosi trascinare dal ritmo cantilenante e rimbombante di Mi Gente. Stavolta, l'oscurità caratteristica del nightclub ebbe un effetto diverso su di me: che la gente mi notasse o meno con la gonna di pelle che indossavo all'insaputa di Olivia e le gambe protette da un paio di collant neri, non avrebbe scatenato alcun terrore. Mi avrebbero aiutata a concentrarmi su di loro, e non su quello che la mia testa si perdeva a pensare già da una settimana.

Lo sguardo scivolò sul bicchierino di vetro: spicchio verde di limone aggrappato al bordo e, all'interno, del liquido lattiginoso che sfiorava la superficie, la stessa tonalità di un antibiotico che da bambini si è costretti a inghiottire. Solo per quello, storsi il naso.

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