34. Paradosso della marionetta - Pt. 2

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Paradosso della marionettaPt

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Paradosso della marionetta
Pt. 2











N.B musicale: vi mancavano, eh? Comunque io aggiungerei che è anche necessario, ovviamente per chi legge con la musica in sottofondo: "5:57" di MOVEMENT non appena Ophelia va a mettersi a letto.

Buona lettura, e ci vediamo giù! 🤍





















Quella provocazione non mi lasciò indifferente.

Appena Desmond si allontanò dal mio orecchio, tornò dritto, serio, inconsapevole di come le sue parole fossero riuscite a svegliare lati di me nascosti, che nemmeno ricordavo di possedere.

Mi lanciai un mentale rimprovero: invece di lasciar libera piazza a un mutismo di stupore, avrei dovuto reggergli il gioco, ribattere con qualcosa di altrettanto audace, che percorresse i binari di quella conversazione ambigua, che fosse in grado di... provocarlo, metterlo all'angolo.

Rinunciai in partenza; se poteva, evitava di manifestare dell'umano imbarazzo. Accadeva di rado, al massimo, ma non durava più di due secondi. Non c'era la soddisfazione di poter pensare: "Allora anch'io posso decidere se avere un qualche tipo di potere su di te".

Perché sì, avevo il forte bisogno di alienare dalla mia identità la dicitura dello "stupido triste burattino". Volevo che sparisse, che si riducesse nell'ombra di un brutto ricordo. L'umiliazione per esserlo stata per tanto tempo era una ferita ancora fresca. Forse mi avrebbe aiutata a ignorare meglio se il mio corpo fosse stato recepito con una connotazione diversa, considerato non come un oggetto fragile e in procinto di rompersi, ma anche per ciò che era: carne.

Non mi sarebbe dispiaciuto se accendesse fantasie diverse dall'ordinario agli occhi di Desmond, che lui con l'arte ci sguazzava, la respirava ogni giorno tra le dita. Per una volta, sentivo di voler testare i fili delle mie scelte, gli stessi che erano stati manovrati a lungo da mani non mie.

Così, la mente intraprese dei viaggi contorti, seguendo sentieri sempre nuovi, talvolta clandestini, che in circostanze normali mi sarei solo sognata di ideare. Un po' diedi la colpa a quelle poche gradazioni d'alcol ingurgitate, un po' ne diedi a quella bizzarra forma di eccitazione che mi agitava dentro: mi rendeva più lucida, ancor più presente, consapevole, coraggiosa.

Strinsi la coscia, le dita che schiacciavano il punto prima accarezzato da Desmond. Avrebbe dovuto sostituire un pizzicotto morale, ma non fu abbastanza: l'ancora delle fantasie era salpata.

Lo fissai; una donna gli si era avvicinata e lui, cordiale, stava ascoltando. Non io. Avevo smesso di farlo da quando, fra i pensieri volanti, uno di essi mi saettò dietro agli occhi come uno schiaffo.

Mi sarebbe piaciuto farlo.

Ma non sapevo se esserne capace.

Eppure, osservando le labbra di Desmond muoversi in direzione della sconosciuta, le incertezze si sciolsero come ghiaccio in una bibita esposta troppo al sole. Al loro posto, un pensiero preminente: che un uomo mi guardasse con la reale consapevolezza di avere di fronte a sé una donna e non solo una ragazzina da contemplare con dolce patetismo.

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