Errore
Pt. 1Desmond neanche immaginava di avere una grande influenza su di me. Lo notavo dalle piccole cose, come il trovarmi a mio agio nell'osare. Se fino all'estate precedente era un termine che mi terrorizzava mettere in pratica, adesso mi divertiva individuarci sfumature sempre nuove.
Ogni volta che ne avevamo l'occasione, finivamo per replicare ciò che era accaduto quella sera. Per scoprirci, conoscerci, capire cosa piacesse all'altro e cosa no. A volte erano gesti trasportati dalla delicatezza, altre dall'impazienza. A volte accadeva sul suo letto, sul divano, altre in piedi, appoggiati al piano della cucina.
Un pomeriggio, mentre alla televisione ronzava la pubblicità delle Cheetos e io me ne stavo con la testa sulle gambe di Desmond a lasciarmi accarezzare la clavicola, gli avevo confessato, non senza provare dell'impaccio, che per il momento non mi attirava chissà quanto provare il sesso orale. Mi ero sentita in dovere di dirglielo, specie perché, al liceo, sentivo spesso tra i ragazzi quanto fosse considerato qualcosa di essenziale, che senza ne avrebbe risentito qualsiasi relazione. Ma Desmond non era un ragazzo; lui aveva annuito senza scomporsi o tradire smorfie che avrebbero dovuto palesarne la delusione, il che l'avevo ritenuto profondamente rassicurante; dalla sua, invece, mi aveva informata di soffrire il solletico in parti del corpo in cui, durante un approccio più fisico, era inevitabile sfiorare. Tipo all'inguine, o alla pancia.
Era bastata quell'informazione per scattare sulle sue ginocchia e iniziare a solleticargli l'addome; si era irrigidito contro lo schienale ed era esploso in una risata di pancia, cercando di afferrarmi i polsi. L'eco delle nostre risa aveva imbottito il salone fino a che non mi aveva stesa sul divano e, incombendo su di me, aveva frenato sul nascere altre provocazioni riempiendomi di baci.
Vedevo Desmond più sciolto, sebbene le incertezze non lo abbandonassero mai, tantomeno l'assicurarsi che volessi davvero fare questo o quello. Delle volte lo prendevo in giro.
Inoltre, rispondere a Olivia aveva sbloccato qualcosa; era una sensazione che si accostava alla soddisfazione di quando senti lo scatto di una serratura forzata a lungo. Quel primo passo aveva oliato gli ingranaggi di un coraggio che davo ormai per assopito.
Il passo seguente sarebbe stato riconciliarmi con i miei.
Già da qualche settimana stavo tentando di essere più presente nelle loro vite con la più futile scusa e, speravo, nella maniera più naturale possibile: aiutare a sistemare la spesa, offrirmi per le commissioni, assistere alle lezioni private di mamma, aggregarmi a papà nella visione del talk show di Fallon.
Ero sicura che si fossero fatti qualche domanda.
Meglio così: mi ero stancata di nascondermi.
«Ehi, mamma.»
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Ad alta voce
Roman d'amourCOMPLETA Ophelia Burns, figlia adottiva di una famiglia che per anni non ha fatto che allenare le corde vocali di Filadelfia, non vuole essere ascoltata. Non più. A seguito di un triste scherzo del destino che ha messo a repentaglio una sicurezza ch...