1- L'inizio | prologo pt.1

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12/04/1998:

Era una calda giornata di pasqua, e la piccola Leila era stesa sul suo caldo letto dalle coperte bianche ancora dormiente. Nella cucina c'erano le presenze dei suoi genitori con i nonni materni e paterni; però all'appello mancavano gli zii. Il nonno e suo padre, erano seduti sul grande divano a quattro posti bordeaux, mentre, tutti gli altri, stavamo sistemando la tavola o finire di cucinare gli ultimi cibi per il pasto. Intanto, Leila, finalmente si decise di alzarsi dal letto e di sistemare la sua piccola camera, in tal caso che, se qualcuno volesse vedere la sua camera, almeno era tutta bella in ordine. Lei è sempre stata una ragazza ordinata e precisa, non amava tanto le feste, tanto meno quelle in famiglia, perciò, si limitava di sedersi a tavola e mangiare silenziosamente, parlava solo se qualcuno la interpellasse. Poi, cominciò a vestirsi, un piccolo completo dai jeans bianchi e una maglietta rosa e nera, i capelli raccolti in due trecce, che partivano dall'attaccatura dei capelli, zona fronte, fino ad arrivare alla nuca. Si tolse il pigiama, lo ripiegò, e lo poggio sotto il cuscino.

Leila's pov:

«Lily! Scendi, la zia Thessa ti vuole salutare!» Gridò mia madre.

«Ok, va bene, arrivo!» Risposi, usando lo stesso tono che aveva usato con me.

La zia Thessa era la mia zia preferita, ogni volta che veniva da me a farmi visita mi regalava una caramella, tutte volte di differente gusto. Molte volte mi chiedo ancora dove le comprasse. So solo, che ogni volta amavo il loro gusto. La festa di pasqua non è tre le mie preferite, preferisco di gran lunga quella di Halloween o di Natale. Nel mentre, ho finito di fare tutto, direi di scendere ed andare a salutare i miei parenti, visto che già la mamma mi ha chiamata.
Scendo le scale senza nemmeno dare le attenzioni a loro, ormai so i tempismi per scendere e salire quei gradini a memoria.

«Guarda chi abbiamo qui, la mia bellissima nipotina! -disse mia nonna.- Quanto sei cresciuta; dimmi un po', te lo sei fatto il fidanzatino?».

«Nonna! Ho solo dodici anni!» Risposi imbarazzata.

Rise. «Ahaha, okok, va bene. Ma appena ne troverai uno carino, devi venire a dirlo a me, intesi?».

«Intesi» Replicai.

«Oddio, cucciola! Non ti avevo vista, perdonami» Urlò mia zia, scompigliandomi i capelli.

«Tranquilla zia»

«Bene... La vuoi una caramella?» Chiese.

«Thessa! Non mi sembra il momento, tra un po' dobbiamo mangiare» L' ammonì mia madre.

«E va bene -si girò verso di me- vuol dire che te la darò dopo pranzo, va bene?»

«Va bene, zia»

«SEDETEVI! È PRONTO, A MANGIARE!»
Urlò con tutta la voce che aveva mia madre.

Dopo esserci seduti tutti, pregammo e ringraziammo Dio per il buon cibo a tavole. Io non pregavo mai: era solo una perdita di tempo, se il cibo c'è a tavola, vuol dire che ce lo siamo guadagnati da soli. Era questa, la frase che mi ripetevo ogni volta.

«Possiamo mangiare?» Domandò mio nonno.

«Incominciamo, mancano ancora Tiziana e Marco -gli zii paterni- , però ormai è troppo tardi, non li possiamo più aspettare».

Gli zii erano sempre puntuali, anzi, la maggior parte delle volte arrivavano anche in anticipo. Ma quella volta non ci feci tanto peso e mangiai il mio piatto di pasta col sugo. Dopo circa dieci o venti minuti, arrivò il secondo: coniglio ripieno, con patate al forno. Il pasto che aspettavo sempre, il mio preferito. Ormai erano le quattordici, e gli zii ancora non si presentarono, forse si erano dimenticati della cena di famiglia e avevano capito che ci fosse stata un altra domenica. Arrivò anche il terzo piatto, o come lo chiamo io, il dolce: un buon tiramisù, due porzioni ciascuno. Ed infine, per chi la voleva, la frutta. Di solito la mangiano sempre, io mai, infatti nemmeno quella valota me l'ero presa. Io mi limitavo a guardarli mangiare, aspettando, con molta pazienza, che finissero di gustarla. Travolta dai miei pensieri, mi chiesi che ore fossero, guardai l'orologio appeso sopra alla TV, segnava le cinque, cavolo, sta arrivando la notte e noi stavamo ancora mangiando. Per curiosità, mi affacciai alla finestra per vedere il tempo fuori, in effetti era buio con sfumature rosse, il cielo stava tramontando. Rosso di sera bel tempo si spera. Mi ripetevo questo motto ogni volta che vedevo il cielo un po' più rosso rispetto alle altre volte. Incantata da quel paesaggio così bello, dalle rondini che passavano con i loro stormi, mi accorsi, che in lontananza, tra tutte quelle case della città, sbucava una grande nube di fumo.

«Mamma, vieni! Lì in fondo c'è del fumo».

«Dove tesoro?».

«Quella casa vicino al bosco». Indicai dalla finestra.

«Ma lì non ci abitano Tiziana e Marco?» Chiese mio padre.

«Oddio, mi sa che è vero, l'unica casa vicino al bosco è la loro». Spiegò mia madre.

«Poi oggi, non si sono nemmeno presentati». Aggiunse mio zio.

«Io direi di andare a controllare». Propose Thessa.

Subito dopo la frase, tutti promossero l'idea. Ci eravamo divisi: mio padre, mio nonno e mamma stavano in una macchina, mentre, io, i miei zii e mia nonna, in un'altra. Passarono più o meno cinque minuti da quando ci eravamo caricarti in macchina e diretti verso casa degli zii. D'altronde, da casa nostra fino al bosco, non era così distante: in macchina ci voleva pochissimo per arrivarci.

«Siamo arrivati» Disse Thessa.

«Oh Gesù mio» Sospirò nonna.

Nel corso dei miei anni, fino ad allora, avevo visto la scena più raccapricciante. La casa era completamente andata in frantumi, cenere. L'aria grigia, e a decorare il tutto, il rosso del fuoco. Scesi dalla macchina. Non si respirava, l'odore di bruciato invadeva le mie narici, facendomi tossire. Si vedeva gran poco, e non stavo capendo niente. Tutti noi ci avvicinammo alla casa, per vedere se c'era ancora qualche segno di vita. Raggiungemmo la porta d'ingresso, ormai inesistente, e ci avvicinammo lì. Io, non riuscivo a respirare, e quel poco di ossigeno buono che era rimasto, orami era consumato, stavo respirando puro fumo e per i miei polmoni da ragazzina, non andava bene.

«Non credo che ci possiamo entrare, è troppo pericoloso, poi, è troppo stretto il passaggio, le mura sono mezze crollate, invadono il passaggio». Disse mio padre.

«Però, Leila ci passa in questi spazi, ci potremmo mandare lei». Propose mia madre.

Tutti si girarono verso di me, e mi guardavano, come per dire:"O ci vai, o ti ci facciamo entrare con la forza".
Stavo tremando, non potevo mica sacrificare la mia vita per loro? In oltre, non si sa da quante ore sta bruciando quella casa, è ovvio che sono morti.

«I-io». Cercai di dire, ma un rumore proveniente dal bosco attirò l'attenzione di tutti, che, si girarono verso il lato del suono udito. In quell' esatto momento di distrazione, sentì una vocina nella mia testa dirmi:

"Ora che sono distratti, spingili nel fuoco

su, forza, buttali dentro.

Loro non ti hanno mai voluto bene,

ti sfruttano solo, e ne hai avuto la prova proprio ora

è il tuo momento, fallo.

Ti sentirai libera".

Stavo impazzendo, non capivo perché stavo pensando a quelle cose. Però, non avevano tutti i torti queste voci. Ma non potevo farlo:

'dopo dove sarei andata?'

Rosa Nera || Ticci Toby Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora