Soprav(vissuto) | Simuel

Capitolo 13

Roma era desolata.

Per le strade vi era solo un ragazzo a cui il cuore martellava insistentemente nel petto.

Guidava veloce verso una meta ben precisa: lo sfascio.

Vi arrivò poco dopo e subito si precipitò a parcheggiare la sua moto.

Procedette poi a dirigersi verso l'interno di quel postaccio cercando di rimanere calmo.

Il suo arrivo fu accolto dal solito e insistente abbaiare dei cani di Sbarra che erano rinchiusi in gabbie decisamente troppo piccole per loro.
Il ragazzo sospettava venissero malmenati, ma non ne aveva mai avuto alcuna prova.

Dopo pochi passi, al suo fianco apparve la segretaria del suo anziano capo che lo condusse a lui.

Non appena i due misero piede nel piccolo ufficio di Sbarra, Zucca fu subito sul giovane.
Riuscì ad afferrarlo per il collo e, facendo leva sul fatto che Manuel fosse impreparato a ricevere quella singolare accoglienza, a sbattergli la testa contro il muro.

Ferro puntò gli occhi in quelli di Zucca e cercò di levarsi di dosso le sue mani, senza alcun risultato.

"Pensavi de fare el furbo con me regazzino?" domandò Sbarra che aveva tutta l'aria di qualcuno che non si sarebbe fatto alcun problema a ucciderlo con le sue stesse mani.

Manuel cercò di svincolarsi dalla salda presa dello scagnozzo del suo capo mentre ripeteva con il fiato corto: "Io non ho fatto nulla, lasciatemi cazzo".

"Avete sentito? Il regazzino ha detto che lui n'ha fatto nulla..." rise amaramente Sbarra.

"Lasciami Zucca" continuò a insistere Ferro con le mani ancora sulle sue a cercare di liberarsi.
L'uomo non accennò ad allentare la presa, ma anzi: al giovane sembrò stesse stringendo ancora di più.

"Chiudi quella cazzo de bocca e ascoltame bene - gli intimò Sbarra - me mancano 250€ ch'avresti dovuto darme già 'na settimana fa.
Nun so 'n tipo misericordioso quindi considerati fortunato a esse' ancora vivo.
Visto però che me sento bono ho deciso de darte n'artra settimana de tempo pe' sto prestito e pe' un lavoretto facile facile che me devi fa' ".