1. Speak the truth even if your voice shakes

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Mi piacciono i difetti. Penso che rendano le cose interessanti.
- Sarah Dessen

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10 Aprile 2022 - 6 mesi prima

Il cielo sopra il campo da football è pieno di nuvoloni minacciosi, e mentre lo fisso mi ritrovo a sperare che questa notte piova piova.

La partita doveva iniziare mezz'ora fa, mi brontola lo stomaco e ho freddo perché ho dimenticato la giacca.

È la terza volta che Zakaria mi invita a vedere lui e i Tritoni giocare, ma nonostante ciò non riesco comunque a fare a meno di essere divorata dall'invidia ogni volta che entro nel loro stadio.

L'arena dei Tritoni, la squadra di football dell'Accademia Swift, è un moderno stadio con luci brillanti, tribune spaziose e un enorme campo da gioco. È accessibile, sempre pulito, e ha perfino macchinette con snack vegani e proteici.

Inoltre, è sempre affollatissimo. La partita non è ancora cominciata ma il pubblico di casa è già escandescente: fumogeni, striscioni e cori poco carini contro gli avversari di oggi, i Bulldogs dell'Accademia Al-Samman. 

Sospiro. Naturalmente, sono felice che i Tritoni abbiano una folla così appassionata, Zakaria è un giocatore fantastico così come i suoi compagni di squadra; ma vorrei tanto che le persone dessero la stessa importanza che danno agli sport maschili anche a quelli femminili.

Noi siamo fortissime - non a caso stiamo volando dritte in finale nel campionato di football - ma sembra che la gente a malapena sappia della nostra esistenza, perfino nella nostra stessa scuola. 

Il palazzetto delle Tigri Bianche, la mia squadra di football all'Accademia Montalcini, è grande meno della metà di questo stadio, e nonostante sia accogliente e modesto, non ha nemmeno la metà dei comfort di cui godono i Tritoni, e non è mai sold out.

Il pubblico schiamazza mentre i giocatori si riscaldano in campo, e con lo sguardo setaccio le divise verdi alla ricerca del mio accompagnatore, che individuo grazie al numero 11 stampato in oro sulla sua schiena.

Zakaria dà le spalle mentre fa dei passaggi con un suo compagno di squadra, porta indietro il pallone e lo lancia con un movimento semicircolare, e lo sferoide prolato taglia l'aria avanti ed indietro, avanti e indietro.

Nell'attesa decido di prendermi qualcosa da sgranocchiare, dato che il quaterback mi ha promesso una pizza dopo la partita.

Sto scendendo le scalinate per dirigermi verso il corridoio delle macchinette, quando un «Dove vai, bellissima?» mi fa voltare la testa.

A parlare è stato un uomo biondo sulla tribuna accanto, avrà più di trent'anni e mi sta fissando in maniera inquietante. Quello che presumo sia un suo amico sghignazza accanto a lui, probabilmente vedere il suo socio che molesta una quindicenne lo diverte, invece di allarmarlo. Disgustata, mi limito a distogliere lo sguardo e proseguire facendo finta di niente.

C'è abbastanza gente perché non mi senta in pericolo, ma apro comunque il cellulare sul contatto di Papà, così che in caso mi basti  premere un tasto per far partire la chiamata. Non si sa mai.

Mi giro per controllare che il molestatore non mi abbia seguita, ma parte me c'è solo un tipo seduto in fondo al corridoio, di fronte alla toilette. Indossa una sgargiante tuta erba e sta gesticolando al telefono, ma è troppo lontano perché possa sentire qualcosa.

I miei occhi passano in rassegna i prodotti all'interno della macchinetta e il vetro trasparente mi restituisce il riflesso della mia immagine. Carnagione olivastra, caschetto castano, occhi scuri.
So di essere bellissima, ma detto da un viscido estraneo, è tutt'altro che un complimento.

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