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Tu non sei
quello che ti hanno fatto.

Tu non sei
quello che dicono di te.

Tu non sei
quello che si aspettano da te.

Con qualsiasi ferita, cicatrice, ombra,
arriverà qualcuno per cui sarai
l'anima perfetta.

Tu sei,
anche quando credi
di non essere più.

Per l'intero tragitto sul pick up guardo fuori dal finestrino e non riesco a scorgere altro che alberi, distese immense di prati verdi e animali al pascolo, solo ogni tanto delle vecchie case, quasi tutte in mattoni o in pietra.

Il cielo è azzurro, tremendamente azzurro: quasi come fossimo dentro una cartolina. Il Sole è caldo, il cielo sereno e l'aria fresca. Mi sembra strano anche solo pensarlo, ma a Manhattan non era così, non ho mai visto dei colori tanto accesi o sentito l'aria così pulita.

<Ti troverai bene qui, Nola>, la donna accanto a me mi rivolge un grande sorriso, accarezzandomi la gamba, che sposto prontamente. <Scusa>, mormora.

<Grazie per l'ospitalità, Marie>, mi limito a dire, non alzando lo sguardo e non smettendo per un secondo di giocare nervosamente con i miei braccialetti.

Marie è un'amica di infanzia di mia madre e ha insistito fin troppo per invitarmi a trascorrere l'estate con la sua famiglia, in un posto dimenticato da Dio e che dubito esista su qualsiasi cartina.

Oltre alle lunghe ore di viaggio, ho dovuto prendere due treni per arrivare qui e adesso mi trovo con lei in questo pick up dallo strano odore da quasi mezz'ora.

Non sopporto la campagna o qualsiasi cosa ci si avvicini, ho sempre vissuto nella mia villa a Manhattan insieme ai miei genitori, ma non ho avuto molta scelta: i miei mi hanno letteralmente obbligata a venire qui, credendo che trascorrere l'estate nella città in cui era successo tutto non mi avrebbe fatto bene - invece stare in mezzo al nulla con delle persone a me sconosciute di certo mi gioverà più della terapia. Per piacere.

<Siamo arrivati!>, annuncia entusiasta, parcheggiando proprio davanti a quella che ha tutta l'aria di essere una fattoria.

Non riesco a crederci. Una casa in pietra si erge dinnanzi a me, circondata da un'immensa distesa di verde che si estende per quelli che mi sembrano chilometri. Riesco a vedere solo un bosco poco più in fondo e qualche casa in lontananza, delle mucche accanto alla costruzione provocano un gran baccano con i loro campanelli. Odio tutto questo.

Salgo le scale che mi separano dalla veranda, dove un'altalena bianca si sposta leggermente a causa della brezza. Mi sembra di essere entrata dentro un film, uno di quelli antichi: la mia vita a Manhattan era quanto di più lontano dalla vita campagnola ci si possa immaginare.

<Nola!>, una ragazzina esce dalla porta correndomi incontro, mi si blocca il fiato quando vedo le sue braccia aperte pronte a stringermi in un abbraccio. Ma si ferma. <Sono Camilla>.

Mi basta guardare i suoi occhi verdi per capire immediatamente che sia la figlia di Marie: sono esattamente identici ai suoi, di un verde cristallino ed inteso. Anche i tratti del volto sono molto simili, i capelli ricci e castani che le ricadono ai lati di un viso delicato.

<Piacere>, biascico, tremendamente a disagio. Stringo forte le mani attorno al mio zaino.

Quello sguardo.

Camilla sa tutto, non ci vuole certo un genio per capirlo. Ormai sono abituata a questo genere di occhiate: compassionevoli. Sono scappata da Manhattan per quello eppure le ritrovo qui, esattamente identiche. Perché?

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