6.

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Percorse le miglia successive cercando di convincersi di aver fatto la cosa giusta, che se quel ragazzo voleva andare a guardare quell'accidenti di festival poteva farlo. Non era un suo problema.

Harry, Lottie e il suo bambino... tutte responsabilità che non aveva chiesto e che gli erano capitate tra capo e collo all'improvviso.

E dopo averti usato per bene butteranno quello che resta e passeranno a qualcosa di meglio.

Già da un pezzo era venuto a patti col fatto di non essere mai stato la prima scelta di nessuno, ma non aveva intenzione di ridursi a uno zerbino, soprattutto non per un ragazzino che conosceva da meno di un giorno. Alla fine si era spezzato in mille schegge, ma il dolore non accennava a dargli tregua. Allargò il colletto della maglietta per farsi aria, la testa che ormai implorava pietà: aveva il fiato corto e le ascelle zuppe di sudore, così abbassò il finestrino per cercare un po' di vento, ma in quel preciso momento il cellulare si mise a squillare. L'ultimo suono che avrebbe voluto sentire, mentre gli occhi minacciavano di cadergli da un momento all'altro. Li strizzò per mettere a fuoco il nome sullo schermo e quando vi lesse "Eleanor" per un attimo fu tentato di afferrare il telefono e scagliarlo fuori dal finestrino, il più lontano possibile. Poi rifletté sul fatto che quella donna aveva ancora in ostaggio la sua collezione di dvd.

«Che vuoi?» le abbaiò contro. La voce di lei uscì dalle casse della macchina, morbida come sempre.

«Ahi ahi, sei di buonumore anche oggi,» lo salutò, come se stesse scegliendo il colore delle unghie dall'estetista. «I letti di Chicago sono così scomodi oppure si tratta di qualcosa di serio?»

«Mi prendi in giro? A Chicago non ci sono ancora arrivato, e se proprio vuoi saperlo non ci sono nemmeno vicino.»

«Calma, Louis, volevo solo assicurarmi che non avessi avuto dei problemi,» rispose lei. «Dal tuo tono sembra che sia successo il finimondo, ma d'altronde sei famoso per ingigantire anche il più piccolo dei problemi, quindi...»

«Stai cercando di litigare? Perché sono a tanto così dallo sbatterti in faccia il telefono e mandarti a fanculo per sempre.»

«Pensavo lo avessi già fatto ieri. Sai, fra il trasferimento improvviso e il fatto che ti sei portato via tutta la batteria di pentole mi sembrava abbastanza ovvio, quello che pensi di me.»

Louis arricciò il naso. «Non hai mai preso in mano una pentola per cucinare in tutti i nostri anni insieme.»

«Come te, del resto,» ridacchiò lei. «Tranne quella volta che hai fatto i pancake per il mio compleanno.» Le rispose con uno sbuffo sarcastico.

«Non ti sei mai sforzata di fare altrettanto.» Eleanor si prese qualche secondo per rispondere.

«Louis,» disse alla fine. «Quand'è il mio compleanno?»

Lui aggrottò la fronte. «Ma che stai dicendo? È...» esitò, improvvisamente incerto. «È il... tredici luglio.»

Lei rise, riuscì a intuirlo dal suono esasperato che le uscì di bocca. «Fuochino. Il sedici.»

«Non è vero! Io ti ho sempre...»

Eleanor ridacchiò. «Portata fuori a cena? Fatto un regalo? Sì, lo hai sempre fatto: o un giorno in anticipo o un giorno in ritardo.»

Dio, ma è ridicolo. «Perché non me l'hai mai detto?» Lei ci mise qualche secondo a rispondere, e Louis si accorse che stava masticando una gomma.

La fece scoppiare, poi sospirò. «Perché alla fine era solo un numero. Non mi importava il giorno, mi piaceva festeggiare con te. Ed eri sempre così stressato con il lavoro che, come dire, ho preferito lasciar correre.» Lui rimase in silenzio mentre continuava a guidare, circondato dal rumore delle auto che gli scorrevano accanto e dai piccoli scoppi della gomma da masticare. «Lo sai,» le disse a un certo punto, pensieroso. «Nei cinque anni che siamo stati insieme ho finito per odiare il modo in cui mastichi le gomme.» Lei fece un altro pallone.

Standing At Your Side Is The Perfect Place For MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora