Capitolo 16. Perse. Parte 2

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Ero immobile, in piedi, in mezzo al "canion", vicino a quel dannatissimo muro di rocce che ostacolava il proseguo del nostro cammino...il sole picchiava forte, doveva essere mezzo giorno, forse l'una del pomeriggio, in quel momento non ne avevo idea. Ero stordita e un fischio acuto  bombardava le mie orecchie lasciandomi in uno stato catatonico, ferma, paralizzata a fissare Jessica che vomitava difronte a me.

La sentii prendere un respiro profondo e "lanciare" il secondo conato. Le uscì un verso assurdo che per qualche strano motivo mi smosse dal mio stato di congelamento. Mi mossi rapida e le andai vicina per scostarle i capelli. Non volevo se li sporcasse. Cercai di tranquillizzarla e per fortuna dopo un paio di minuti finì di rimettere.

Sostenendola la accompagnai lentamente verso l'estremità destra della parete rocciosa, in quelle vicinanze c'era una piccola fetta d'ombra, volevo farla sostare un attimo lì; nel fra tempo avrei riflettuto sul da farsi.

Mentre camminavamo Jessica cercò di parlarmi indicando con il dito un punto della parate rocciosa alla mia destra. Sembrava un passaggio. 

«Chiar...uah», nel tentativo di parlare le uscì un rutto, probabilmente a causa dell'aria che aveva ingerito mentre vomitava. La cosa fece ridere entrambe. Era incredibile come in quella situazione riuscivamo ancora ad avere senso dell'umorismo.

«Non sforzarti, tranquilla. Ho capito cosa volevi dirmi. Ho visto il passaggio. Arriviamo a quella zona d'ombra, lì ti rilasserai un po' e nel mentre io andrò a controllare».

Arrivate alla zona d'ombra la aiutai delicatamente a sedersi e subito dopo mi diressi verso il passaggio. Una volta lì precipitai nuovamente nello sconforto, il passaggio era troppo stretto. Riuscivo a vedere il lato opposto ma era umanamente impossibile passare. Saremo dovute tornare indietro e cercare un altra via.

In preda alla frustrazione diedi ripetuti calci con la pianta del piede alle rocce che ostruivano il passaggio.

«Merda, merda merdaaa!», imprecai a bassa voce. Volevo evitare che Jessica mi sentisse.

Mi girai verso di lei. Aveva gli occhi chiusi e teneva la testa verso l'alto. Doveva avere ancora la nausea. Non sapevo cosa fare. In quelle condizioni non sarebbe stata in grado di proseguire. Eravamo al limite.

Sconsolata feci per tornare alla zona d'ombra quando improvvisamente senti un rumore alle mie spalle. Mi voltai spaventata, irrigidendomi per la paura, pensando fosse qualche animale, ma non vidi nulla. Mi guardai attorno poi spostai gli occhi verso il verso il basso; alla base del passaggio una roccia era franata leggermente.

"Rompila! ", pensai.

Speranzosa presi un sasso nelle vicinanze e iniziai a colpirla con tutte le mie forze. La roccia continuò a sgretolarsi fino a disincastonarsi e cadere a terra. La spostai tirandola con forza premendo sul suolo con le gambe riuscendo a smuoverla di una trentina di centimetri; subito dopo mi abbassai per ispezionare meglio il passaggio. Era fattibile, c'erano altre rocce alla base del passaggio, ma non erano incastrate, se fossi riuscita a toglierle, strisciando saremo potute passare. 

Corsi da Jessica per informarla della situazione. Lei ascoltò pazientemente rimanendo in silenzio. 

«Ho troppa nausea», disse a bassa voce, «non posso aiutarti adesso, se mi muovo sento che potrei rivomitare». Era evidente che anche solo parlare gli risultava un azione pesantissima.

«Tranquilla dovrei riuscirci da sola. Adesso riposati, appena libero il passaggio torno qui ad avvisarti».

Lei annui, poi di corsa mi diressi di nuovo al passaggio. Una volta lì mi accovacciai e strisciandoci all'interno iniziai a liberarlo. Ci vollero 20 minuti, dopo i quali finalmente arrivai all'ultima roccia. Non ne potevo più, avevo le mani graffiate e mi sentivo completamente stordita dal caldo. Ogni volta che tiravo fuori una roccia, quando strisciavo nuovamente nel passaggio, per via dell'umidita, un terriccio simile alla sabbia mi si appiccicava sugli avambracci. Questo mi provocava un forte senso di claustrofobia causato dal fastidio di volerlo togliere immediatamente e quindi dal dover uscire da lì per farlo.

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