XLIII - Rivelazioni e ricordi indesiderati

44 2 64
                                    

Nel silenzio del dormitorio femminile di Grifondoro del terzo anno, tutte dormivano. Tutte, tranne Annie Black. Se ne stava seduta sul letto, a gambe incrociate, sogghignando al pensiero di quel che avrebbe detto sua zia se l'avesse vista in quel momento: i capelli un poco scarmigliati, gli occhi gonfi e arrossati dal sonno e il pigiama stropicciato. Non era solo per dispetto, però, che si rifiutava di tornare a dormire, nonostante fosse notte fonda; voleva scoprire una cosa e quello era un incantesimo effettuabile soltanto la notte. E, soprattutto, senza bacchetta.
Sua zia le aveva insegnato qualche rudimento degli incantesimi più naturali e primitivi, quelli che necessitavano del potere puro della magia di un mago o di una strega senza l'interferenza di un artefatto che la incanalasse, e lei ne era stata segretamente orgogliosa per quasi due anni, prima di incontrare quel Corvonero che pareva dimenticarsi persino dell'esistenza della sua bachetta, tanto poco la usava.
Aveva passato ore, le notti precedenti, a studiare quell'incantesimo e forse, finalmente, aveva trovato una risposta nel Reparto Proibito.
Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e chiuse le mani a pugno sulle ginocchia, mormorando sottovoce la formula. Non poteva parlare troppo forte, o avrebbe rischiato di svegliare le sue compagne e la segretezza sarebbe sfumata all'istante. E poi, non voleva coinvolgere nessuno in quella ricerca.
- Arcana praeteritum revelio. Arcana praeteritum revelio. Arcana praeteritum revelio- andava sussurrando, reggendo fra le mani una delle sue piume. All'inizio non successe nulla, poi, però, si ritrovò di colpo nel negozio a Diagon Alley dove l'aveva acquistata ad osservare sé stessa che, in disparte assieme a Draco, attendeva che Narcissa pagasse il commerciante.
Quando tornò a vedere il noto dormitorio, si accorse che aveva trattenuto involontariamente il respiro per l'agitazione e si diede della sciocca da sola.
Con un lieve tremore alla mano, poi, sfilò il medaglione da sotto la maglia del pigiama e lo tenne dritto davanti agli occhi, respirando a fondo e preparandosi ad affrontarlo. Non l'aveva mai aperto, per una strana sensazione che le suggeriva così, e quella notte non sapeva se aveva abbastanza forza per provarci. Dopotutto, però, l'incantesimo avrebbe dovuto funzionare anche da chiuso, perché operava sull'oggetto in sé e non sul suo contenuto.
Stava per replicare il procedimento, quando alla finestra bussò un gufo che non aveva mai visto prima, dai grandi ciuffi di piume sulle orecchie e intelligenti occhi di un giallo chiaro, che scintillavano per il riflesso del becco adunco. Aveva un manto striato di nero, anche se era difficile dirlo con certezza per via dell'ora tarda.
Annie, soffocando un impropero colorito, si avvicinò di soppiatto alla finestra e l'aprì di un poco, attenta a non far rumore. Il gufo della Virginia, come se avesse inteso quanto c'era da intendere, entrò svolazzando silenziosamente nella stanza e si appoggiò sulla sponda del letto della Black, porgendole una gamba senza staccarle gli occhi di dosso.
La Grifondoro sfilò il messaggio e lo lesse in un sol fiato, prima di notare il minuscolo nastro blu e nero che il gufo portava legato all'altra zampa.
"Non c'è stato bisogno di alcun incantesimo, era un semplice trucco babbano, molto ingenioso per confondere dei Purosangue con una certa mentalità: succo di limone. Ho trascritto il messaggio, ma allego anche il biglietto originale che mi hai fatto recapitare tramite Nott. 'Cerca nel baule in casa di zio Alphard, quello con il motto inciso sulla serratura, meriti di sapere in che famiglia disastrata sei nata. Non tutto è ciò che sembra'. È tutto qui, non ci sono incantesimi di estensione o di protezione sopra.
Scusa l'ora, ho capito solo poco fa,
Earl"
E così, ora aveva forse un'altra pista o un altro problema da risolvere. Quasi quasi rimpianse di aver chiesto al Corvo di provare a decifrare il messaggio.
Prima che potesse offrirgli da mangiare, il gufo era già volato fuori dalla finestra, immergendosi nella notte per tornare dal suo padrone.
-Socievole quanto te, non è vero?- commentò con una punta di ironia ad un immaginario Earl, mentre richiudeva l'anta alle spalle dell'animale.
Una volta che fu certa che le sue compagne dormissero ancora profondamente, si sedette di nuovo sul letto e slacciò la catenella del medaglione, tenendolo per qualche minuto fra le mani senza fare nulla, limitandosi ad osservarlo in silenzio.
La luce della luna filtrava dalla finestra spessa, illuminando d'argento il metallo e facendo brillare in modo innaturale gli smeraldi che componevano gli occhi del serpente.
Con un ennesimo respiro profondo, chiuse gli occhi e iniziò a ripetere sottovoce la formula, mentre le mani iniziavano a scintillare pericolosamente e il medaglione cigolava in modo sinistro.
All'improvviso, poi, la stanza attorno a lei scomparve e si ritrovò in un luogo che non aveva mai visto prima.
Era una casa buia, sinistra e sporca come Annie non ne aveva mai viste. Strani sibili si levavano da tutt'intorno, facendole ronzare la testa e annebbiare i pensieri. Per la prima volta in vita sua, però, la sua mente era naturalmene sgombra dalle emozioni e dalle idee delle persone che le stavano attorno: era in una qualche specie di ricordo e non poteva leggere la mente di nessuno, lì.
Eppure, quei sibili lei li conosceva. Li aveva già sentiti, la notte, quando nessuno parlava e il silenzio regnava sovrano a Villa Malfoy. Venivano sempre da quel medaglione d'oro massiccio e lei, seppur con un iniziale timore, se ne era tanto abituata da non accorgersene neppure più.
C'erano delle figure in ombra, in quella scena; figure che si confondevano con le ombre lunghe della stanza ed i cui volti erano persi nel tempo.
Erano loro, però, a sibilare, quel giorno; parlavano la lingua dei serpenti e lei non saoeva intendere quel che dicevano.
Poi, prima che potesse fare alcunché, la scena mutò di nuovo e lei si ritrovò nel dormitorio maschile di Sepeverde.
Era notte fonda e le acque del Lago gettavano riflessi cupi sulle pareti della stanza; tutti dormivano, eccetto un ragazzo dagli ordinati capelli corvini. Se ne stava seduto in silenzio, rimirando quel meraviglioso medaglione esattamente come lei. Eppure, nei suoi occhi castani c'era una brama, una brama di potere a cui lei era estranea, una brama di potere che l'avrebbe ben presto consumato, distruggendone assieme a buona parte della comunità magica.
Il giovane si alzò imporvvisamnete dal letto e si guardò freneticamente attorno; poi, con passo pesato, si avvicinò alla scrivania, aprì la boccetta dell'inchiostro e vi immerse la punta di una penna. Poi, iniziò a scrivere su un foglio usato e riusato, con una grafia sottile ed elegante, precisa fino all'eccesso.
Teneva appuntata sul petto la spilla da Caposcuola, in bella vista sul pigiama scuro, e faceva scorrere la penna sul foglio con un rumore graffiante e affilato. Ad un tratto, fece una pausa e sollevò lo sguardo su quel cimelio di famiglia recuperato da pochi mesi e lo fissò con aria assorta, come a trarne ispirazione. Ad un tratto, si chinò di nuovo sul foglio e finì di scrivere quel che gli premeva tanto da tenerlo sveglio la notte, con uno scintillio sanguigno nelle iridi scure.
Annie fece appena in tempo a scorgere due lettere appuntate alla fine della lettera, perché la visione mutò di nuovo, ma non potè scordare la sensazione di orrore e di malsana ammirazione insieme quando riconobbe chi aveva di fronte grazie a quelle due semplici iniziali. L.V., Lord Voldemort, come aveva già iniziato a farsi chiamare a scuola solo con gli amici più intimi per allontanare da sé quello spregevole nome babbano.
O, sua zia Bella avrebbe pagato tutto l'oro del mondo per poter vedere quel che aveva visto lei.
Quando la visione mutò di nuovo, davanti a lei c'era un enorme lago dalla superficie nera come la pece, perfettamente in linea con la lucida pietra scura.
Una versione adulta del Signore Oscuro stava scendendo in quel momento dalla tremolante barchetta, trascinandosi dietro un elfo domestico ancor più tremante. La Black aguzzò la vista, perché uno strano sospetto le aveva attanagliato il petto: quell'elfo lo conosceva, certo che lo conosceva, era Kreacher. Ma che cosa ci faceva lui in quel ricordo?
Tremava come una foglia, mentre seguiva il mago verso il bacile pieno al centro dell'isolotto.
Annie non poteva sentire bene quel che dicevano, perché le voci erano un poco confuse, ma tentò di tendere le orecchie e ascoltare il più possibile.
-Bevi- intimò Voldemort, indicando con un gesto sprezzante il bacile di pietra. Kreacher non voleva farlo, glielo leggeva chiaramente in volto, non saoeva cosa c'era in quel contenitore scuro, come non lo sapeva lei. Aveva paura, mentre iniziava a bere dalla tazza apparsa accanto a lui.
Gridava e si contorceva come un matto, mentre il Signore Oscuro osservava con disgusto quella scena raccapricciante e gli intimava di sbrigarsi.
Poi, quando tutta la pozione fu rimossa dal bacile Voldemort vi nascose il medaglione di Serpeverde, per poi Smaterializzarsi via da lì, lasciando il povero elfo da solo, costretto a racimolare le poche forze che ancora gli rimanevano per teletrasportarsi a casa Black, dal padroncino Regulus che l'attendeva con ansia.
Poi, la scena mutò di nuovo. Non il luogo, no, quello rimase invariato. No, mutarono i protagonisti: quella volta, accanto all'elfo, non c'era il temibile Signore Oscuro, ma un ragazzo, appena uscito da scuola, che fingeva una sicurezza che non possedeva più.
Si faceva rigirare qualcosa nella tasca, come in un involontario rilesso calmante, mentre scendeva dalla barca con cautela, assicurandosi che il posto fosse sicuro. Solo a quel punto, permise a Kreacher di scendere a sua volta.
Regulus Black si guardò attorno qualche volta, guardingo, e gettò un'occhiata fosca al bacile, prima di avvicinarsi e chinarsi sull'elfo accanto a lui.
- Mi raccomando. Quando avrò svuotato il bacile, sostituisci il vero medaglione con quello falso e porta l'Horcrux via di qua. Distruggilo. Non mi importa come, devi distruggerlo- Kreacher esitò - È un ordine, Kreacher- e Kreacher annuì.
- E ti ordino anche di non permettermi di smettere. Il bacile va svuotato ed è l'unico modo. Se anche dovessi implorato di farlo smettere, tu costringermi a continuare- l'elfo, questa volta, si rifiutò a scosse il capo, tenendosi la testa pelata fra le mani adunche, agitandosi tutto e sobbalzando per i singhiozzi.
- Kreacher può bere la pozione per il padroncino Regulus- si offrì - Il padroncino Regulus non deve bere quella robaccia, il padroncino...- ma Regulus, con un sorriso dolce che suonava con la sua solita aria austera, gli appoggiò una mano su una spalla.
- Il padroncino ti ordina di salvarti e di distruggere l'Horcrux del Signore Oscuro. A qualunque costo- gli riservò un'ultima occhiata carica di rammarico, prima di alzarsi in piedi e avvicinarsi al bacile.
Annie era impietrita. Avrebbe voluto urlare, mettersi a correre e allontanare suo padre, quel ragazzo poco più grande di lei, da quella bacinella tremenda. Eppure, non potè fare altro che rimanere muta spettatrice di quel disastro, con il cuore gonfio di dolore e pesante quanto un macigno.
E Regulus bevve. Bevve un sorso dopo l'altro, sussultando ad ogni bicchiere che scorreva lungo la gola, mandandola a fuoco e bruciando fino allo sfinimento. Bevve in silenzio, senza fermarsi, bevve finché poté, bevve finché le allucinazioni non cominciarono.
Poi si contorse e gli occhi si fecero appannati, distanti, la mente confusa e scossa da quelle visioni orrende.
-Non te ne andare- urlò ad un tratto - Non te ne andare, resta- urlò ancora, con quanto fiato aveva in corpo. Kreacher, con un respiro profondo, intinse il bicchiere nella bacinella al posto suo e glielo portò alle labbra.
- Bevete, padroncino. Dovete bere. Poi vi sentirete meglio- o, quanto stava soffrendo l'elfo nel mentirgli così, nel prolungare quella tortura. E quanto stava soffrendo Annie, ai piedi dell'isolotto, costretta ad osservare tutto in silenzio.
Regulus farneticò qualcosa ed una singola lacrima cadde dagli occhi tempestosi, ma bevve e bevve ancora bevve tutto quel che l'elfo gli metteva di fronte, spinto dall'ultimo bagliore di lucidità.
- Bevete padroncino, bevete- lo invitò ancora quando il giovane si fermò, implorando pietà, implorando che quel supplizio terminasse. Sentite quelle parole, però, bevve.
Poi, strinse con furia quel che teneva nascosto nella tasca come un prezioso tesoro e chiamò il nome del fratello con quanto fiato aveva in corpo, facendo gelare Annie sul posto. Lo chiamava e piangeva. Lo chiamava e sussultava, mano a mano che beveva.
- Bevete, padron Regulus. Ci siamo quasi, ce l'avete quasi fatta- lo incitò ancora Kreacher, osservando il contenuto del bacile diminuire lentamente, troppo lentamente.
Quando, però, Annie stava per mettersi a piangere a sua volta e abbandonare di corsa quel ricordo, dimenticare quell'incantesimo e non tornare mai più in quella caverna neppure attraverso i pensieri, il bacile fu svuotato del tutto.
La giovane osservò impotente suo padre chiedere acqua all'elfo, che si affrettò con il bicchiere verso le acque nere del lago. In un lampo, l'immagine dei suoi occhi consapevoli che sprofondavano nell'oscurità le tornò prepotente alla mente e provò ad urlare, a farsi sentire come poté, avvicinandosi di corsa ai due. Tutto per sentire soltanto un ronzio distante, come di un sibilo troppo fioco da distinguere, ed osservare da un posto ancor migliore lo spettacolo davanti a lei.
Mani putride si erano levate verso l'elfo, che si era ritratto di corsa, sempre tenendo di gran cura l'acqua per il suo padrone. Questi si era avvicinato e, in un moto di lucidità, tirò in salvo Kreacher. Non fece neppure in tempo a bere, che quelle dita avvizzite lo agguantarono e lo trascinarono verso l'acqua oscura.
Gli occhi del giovane si venarono di comprensione, mentre guardava l'elfo domestico cercare in tutti i modi di aiutarlo. Così, con l'ultimo fiato, ordinò all'amico di mantenere la sua promessa.
-Vattene. È un ordine Kreacher, porta via il medaglione e distruggilo- e fu tutto quanto riuscì a dire, prima di esser trascinato dentro il lago fin al collo. Si dibatteva ancora, cercando di restare a galla, ma quegli esseri erano troppi e troppo accaniti, e lui era così debole, così stanco... in un attimo, socchiuse gli occhi, cercò quel tesoro nascosto e non vide più null'altro.
Kreacher, deglutendo a vuoto e con le orecchie tremanti, si smaterializzò, lasciando sola la giovane spettatrice ad osservare l'acqua ancora gorgogliante con lo stomaco in subbuglio, pronto a rigettare l'abbondante cena della Sala Grande.
Quando tornò a vedere la sua stanza, aveva le lacrime agli occhi. Aveva capito. Aveva finalmente capito, ma a che prezzo? Avrebbe preferito vagare ancora nell'ignoranza più profonda, piuttosto che essere costretta a vedere e rivedere nella sua mente quella scena orripilante. Non voleva vedere altro che si collegasse a quel medaglione. Non voleva saperne più nulla.
In un moto di cieco furore si alzò e, spalancata la finestra, porse l'Horcrux al vento gelido della notte. Poi, però, la ragione ebbe la meglio e ritrasse lentamente la mano tremante, sprofondando sul pavimento gelido con un sussulto soffocato.
Teneva gli occhi aperti per non vedere quegli occhi familiare, eppure questi parevano volerle dare il tormento fino a che lei, esausta, non si fosse abbandonata agli incubi e al tormento di quella vista ora completa.
Un lamento disperato lasciò le sue labbra sottili, soffocato subito da una mano umida, mentre un'unica domanda le martellava in testa senza darle tregua. "Perché?" avrebbe voluto urlare, anche a costo di svegliare le sue insopportabili compagne di stanza. Perché l'aveva fatto? Perché non aveva lasciato perdere? Perché non si era limitato ad essere il buon figlio ubbidiente? Perché aveva voluto aiutare, fermare il Signore Oscuro? Perché?!
Avrebbe voluto sbattere la testa contro il muro di pietra, sperando inutilmente che i ricordi se ne andassero via, da soli, come se non fossero mai esistiti.
E poi, il lampo di genio. Oblivion poteva funzionare. Oblivion aveva già funzionato, dopotutto. Però, lei, un Oblivion sarebbe stata capace di lanciarlo su sé stessa? No, probabilmente la mano le avrebbe tremato e la voce si sarebbe fatta fioca prima del tempo, ma allora, a chi chiedere? A qualcuno che sapeva, di certo. Ma chi? E poi il nome, il volto. Earl MacMillan era la persona ideale: conosceva bene l'incantesimo e di certo avrebbe capito.
Così, come febbricante, si lanciò giù per le scale del dormitorio, senza badare al coprifuoco o alla tremenda punizione in sarebbe incappata se qualcuno l'avesse scoperta.
Kreacher aveva fallito, che speranze avrebbe mai potuto avere, lei, di distruggere quell'orrore? Nessuna, quindi perché tenere quei ricordi, che potevano portarle solo guai e dolore?
Si fermò di fronte alla porta senza maniglia, attendendo che venisse fornito l'enigma. Eppure, saoeva già da sola di non avere la lucidità necessaria per dare una risposta sensata, anche senza vedere l'uscio restare ben chiuso.
Non aveva voglia di tornare nella Sala Comune di Grifondoro, non quella notte. Così vagò a lungo, senza badare ai fantasmi che poteva incontrare o a Pix che si divertiva a spedire gli studenti in punizione. Eppure, non incontrò nessuno, solo un gatto rossiccio che era certo di conoscere, ma a cui non badò se non per una frazione di secondo.
In suoi passi e le scale, però, l'avevano portata esattamente dove aveva bisogno di andare. Cercava Earl? Ebbene, la scuola le aveva fatto trovare Earl. O, per la precisione, il suo rifugio momentaneo: la Stanza delle Necessità.

La figlia di Regulus Black - HogsmeadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora