Del vino vorrei versarti

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La cazziata di Matteo arrivò durante una mattinata di studio trascorsa in biblioteca: era un venerdì mattina, io e Laura ci eravamo posizionate nel fondo della grande sala adibita a sala lettura e stavamo chiacchierando mentre finivamo di bere quel caffè orribile delle macchinette. <Quindi? Con Nicola hai chiuso, ma con Mario? Non eravate usciti insieme?> chiese, mentre buttava il bicchiere di plastica ormai vuoto. <Sì, sono stata molto bene con Mario, ma non me la sento, cioè dentro di me devo ancora chiudere questa storia di Nicola> risposi sincera. Laura scosse la testa sconsolata: <La puoi chiudere solo se ti apri al resto del mondo, non se stai a casa a deprimerti> disse severa. Quando avevamo appena trovato la concentrazione, quindi un'ora dopo la sua frase filosofica circa, fece il suo ingresso in tutto il suo splendore Matteo, che quel giorno indossava una felpa nera e dei pantaloni del medesimo colore. Aveva gli occhi stanchi, ma la mascella contratta, segno che qualcosa lo turbava. Neanche quando ci vide e quando la mia amica gli fece cenno di sedersi vicino a me dove era rimasto un posto libero, abbandonò quell'espressione stanca e allo stesso tempo arrabbiata. Appena prese posto, infatti, tirò fuori un quaderno, una penna e poi si voltò nella mia direzione: <Salva questo file ed esci immediatamente da qua> disse perentorio. Se l'esperienza, seppur poca, mi aveva insegnato qualcosa, quando Matteo era arrabbiato o infastidito, non bisognava mai contraddirlo. Annuii, mi alzai e lo seguii nella scala antincendio che veniva usata dagli studenti come luogo per una rilassante pausa sigaretta che solitamente era una pausa chiacchiera. Il mio amico si accese la sigaretta sedendosi poi in un gradino e facendomi cenno di rimanere lì in piedi di fronte a lui. <Allora? Mi spieghi cosa ti sta succedendo? O devo chiedere a Laura?> iniziò. Il suo tono di voce era severo, ma l'espressione del viso, ancora contratta, tradiva un po' la sua preoccupazione. <Sono ancora nella fase di negazione, penso> dissi, evitando di guardarlo negli occhi o altrimenti sarei scoppiata a piangere perché nessuno, come lui, sapeva leggermi e comprendermi. <Togli quel penso finale. Posso sapere cosa ti tiene legata a quel tizio, ancora? Non ti basta ciò che ha detto e fatto in due anni?> incalzò poi. Sollevai semplicemente le spalle: <Non ci credo che una persona passi dal dirti e fare certe cose per te ad esserti completamente indifferente> mormorai. <È un egoista, e tu non riesci a comprenderlo perché sei troppo buona, ecco perché. E me lo ha detto pure Mario che ti ha visto quattro volte>. Al sentire il suo nome dopo così tanto tempo, ebbi un sussulto, che non passò inosservato al mio amico. <Non l'hai richiamato, vero?> chiese poi. Scossi la testa. <Bea cazzo però, quel ragazzo ci sta provando> alla sua affermazione, lo guardai perplessa: <In che senso?> . Lui rise, aspirando dalla sigaretta: <Che vuole conoscerti, e tu stai mettendo trecento muri. Con lui, già ti avviso, non servirà a nulla e ti dico perché: ti è piaciuto già dal primo incontro, scommetto>. Diventai fucsia, scatenando la risata divertita di Matteo: <Lo sapevo cazzo! Ormai ti conosco troppo bene> gongolò. <Sì va bene, ma se poi non dovesse essere il mio tipo? E se poi per sbaglio lo facessi soffrire? Ora non sono proprio materiale da ragazza, ecco> dissi dubbiosa. Matteo fece l'ultimo tiro, poggiando poi il
mozzicone nel posacenere: <Questo lo scoprirai solo vivendo> disse solenne, avvolgendomi il fianco con un braccio e attirandomi a sé.
Al nostro ritorno, Laura era ancora incollata a digitare qualcosa al computer. Ci guardò interrogativa, ma noi le facemmo un segno come per dire "dopo", dopo che arrivò alla pausa pranzo. Verso le tredici, la biblioteca iniziò a svuotarsi e noi durammo una mezz'ora ulteriore, per poi raccattare tutte le nostre cose e dirigerci nel cortile dell'Università. <Che cosa confabulavate stamattina?> chiese la mia amica appena ci sedemmo in una panchina libera. <Del fatto che Bea ha rotto con sto Nicola e che si dovrebbe mettere con Mario> rispose subito Matteo, togliendo la carta dal panino. <Concordo> disse Laura lanciandomi delle occhiate. <Grazie lo so, ma non ci riesco vi giuro c'è una parte di me che si blocca, non so come spiegarvelo> risposi. <Datti tempo, ma non respingere del tutto Mario> consigliò la mia amica. La conversazione poi si spostò su altro e solo dopo che chiuse la biblioteca, alle diciannove, ebbi il coraggio di mandare un messaggio a Mario.
Ciao sono Beatrice, l'amica di Matteo. Scusa se non mi sono più fatta sentire, non proverò neanche a giustificarmi. Volevo farmi perdonare: stasera io, Laura e Matteo facciamo un giro dopo cena, tipo verso le dieci, verresti?
Dopo aver inviato il messaggio e aver informato i miei amici che, esaltati più di me, facevano le scale che portavano al mio appartamento a due a due, attesi un'ora prima di ricevere una risposta.
Ciao Bea, non preoccuparti. Ci sono molto volentieri. Va bene se mi faccio trovare sotto casa tua ?
<Raga viene pure lui> dissi, mentre contemplavo il messaggio e mentre Laura pesava la pasta da cucinare per cena. <Benissimo allora> disse Matteo, mentre si sedeva vicino al tavolo della cucina.
<Ma perché non lo fai venire qua? Lo chiamo io> propose. <Chiedo a Claudia se va bene anche per lei> dissi, prima di recarmi nella stanza della mia coinquilina che trovai vuota. Decisi allora di scriverle un messaggio, al quale rispose rapidamente dicendo che sarebbe rimasta dal suo ragazzo per la serata e per la notte, quindi diedi via libera a Matteo. Il messaggio di Mario indirizzato a me non tardò ad arrivare: Matteo mi ha chiesto di venire a cena da voi, ha detto che per te va bene. Sicura? Se sì, dammi dieci minuti e sono da voi. Sorrisi, suscitando le reazioni divertite dei miei amici che urlavano in sottofondo che stavo finendo sotto ad un treno (spoiler: palesemente sì) e che avevo gli occhi a cuore. Ti aspettiamo. Risposi semplicemente. Mentre Laura e Matteo battibeccavano sul condimento della pasta (sugo è meglio di pesto, diceva Matteo, ma il pesto è più veloce e questo è anche super elaborato, sosteneva Laura), il campanello portò una tregua a questa loro battaglia. Mario apparve da dietro la porta blindata del mio appartamento vestito con una polo rossa, dei pantaloni beige e delle scarpe da ginnastica di vari colori. Aveva i capelli un po' spettinati, ma aveva cercato di tenerli fermi in qualche modo e si vedeva dal gel che era applicato in alcuni punti. Sorrise: <Buonasera, posso entrare? Ho portato del vino> disse. Mi feci da parte non avendo neanche il tempo di reazione di rispondere. Mormorai solo un ciao super flebile e timido.  Laura e Matteo gli andarono incontro per salutarlo, Matteo gli prese il vino dalle mani, strappandolo e distribuendolo in tre bicchieri. Laura nel frattempo condì la pasta con il pesto, sorbendosi un pippone ironico di Matteo sulla democrazia. Brindammo a quella sera per poi mangiare più o meno in silenzio, interrotto da qualche battuta di Laura e Matteo. Verso le nove avevamo finito di mangiare quindi ripulimmo la cucina e poi ci parcheggiamo sul divano per una buona mezz'ora, discutendo su dove andare a fare una passeggiata. <Ma perché non stiamo a casa? Non è sicuro a quest'ora> propose Matteo. <Forse ha ragione> concordò Laura. <Potete stare anche a dormire se volete> proposi. Laura e Matteo rifiutarono l'offerta dicendo che si sarebbero trattenuti un'altra ora massimo altre due e che poi sarebbero tornati a casa insieme, magari in taxi, dato che abitavano più o meno vicini. Mario invece acconsentì a rimanere. Decidemmo quindi di fare una partita a taboo, il gioco di società dove in squadra, o in questo caso a coppie, si deve far indovinare al compagno una parola scritta su una carta ma non nominando sinonimi o le altre parole scritte sotto la principale. Facemmo maschi contro femmine e Matteo e Mario, per la loro grande intesa costruita in tutti quegli anni di amicizia, vinsero a mani basse. L'orologio segnava mezzanotte quando la mia amica scortata da Matteo se ne andarono a bordo di un taxi, ed era mezzanotte e mezza quando io e Mario, come la volta prima, ci sdraiavamo nel mio letto. <Sai, pensavo mi richiamassi due settimane fa> disse incerto. Mi voltai verso il suo lato. <Ti ho dato tutte le ragioni per pensare che lo avrei fatto, mi dispiace> ammisi. Lui sorrise: notai la curva delle sue labbra nella penombra della mia stanza, con la fioca luce della notte che dava un contorno alle cose. <Sì, un po' sì. Però sai, ho avuto anche la tentazione di scriverti io, o chiamarti io, per non lo so tipo esortarti> ammise ancora. <Suona stupido, ci conosciamo da così poco> disse. <Esortarmi tipo?> chiesi, genuinamente curiosa. <Non lo so, non voglio dire che ti avrei fatto delle promesse, ma ti avrei dato tanti motivi per chiamarmi> rifletté. <Non so quali eh, ma li avrei trovati> rise imbarazzato. Sorrisi. <Non ci sarebbe stato bisogno, era giusto che ti chiamassi io. Ho parlato con Matteo e Laura a lungo dei miei sentimenti, o almeno l'ho fatto in parte, e sono giunta alla conclusione che mi piacerebbe tanto conoscerti a fondo> ammisi. Lui sgranò gli occhi, incurvando leggermente le labbra: <Davvero?>. Annuii semplicemente. <Bene allora> asserì, per poi sbadigliare. <Forse è meglio se dormiamo> constatai. Lui annuì, augurandomi la buonanotte e stampandomi un bacio tra i capelli. <Buonanotte> risposi, lasciandogli un bacio sulla guancia.

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