Le scale per arrivare a casa di Matteo mi sembravano infinite: più le salivo, più aumentavano. Quando finalmente arrivai davanti al suo campanello, suonai con le poche forze che mi rimanevano e mi accasciai nel gradino che prima, con un ultimo sforzo, avevo calpestato. <Hei Bea, ti vedo provata> disse il mio amico affacciandosi dall'uscio del suo appartamento e sorridendomi. <Mattè sta zitto> gli risposi affettuosamente, abbracciandolo e entrando a casa sua. <Sei solo oggi?> gli chiesi, poggiando la mia borsa ai piedi del divano e sedendomi sopra di esso. <Sì, mia madre e mio padre stanno al lavoro, mia sorella starà in giro da qualche parte ed eccomi qua> disse, prendendo posto accanto a me. Calò un attimo di silenzio, poi riprese a parlare: <Ti ho chiesto di venire qua non per darmi una mano con sociologia, ma perché devo parlarti di altre cose> iniziò. Mi girai per guardarlo meglio e lui continuò: <Penso che tra poco lascerò l'università: ho trovato un contratto interessante, ho dei testi pronti e anche dei soldi da parte per eventuale marketing ed eventuali videoclip. Lorenzo mi ha consigliato di battere il ferro finché è caldo. Tu che ne pensi?> concluse, guardandomi dubbioso. Mentre mi raccontava, nella mia testa si era formato il pensiero che io e Matteo non saremmo stati più colleghi di corso, in questo modo, e che le nostre uscite e visite si sarebbero drasticamente ridotte. E ciò, egoisticamente, mi aveva fatto rimpicciolire il cuore nel petto al pensiero di averlo lontano per tempi indefiniti. Ma poi realizzai che la nostra amicizia non dipendeva da quanto ci vedevamo, o da quanto ci sentivamo, ma da quanto e quando potevamo contare l'uno sull'altra. Quindi sempre. Allora sentii il mio cuore alleggerirsi e sorrisi, felice per quei piccoli ma grandi traguardi che il mio amico stava per tagliare. <Se rende felice te, io sarò la tua fan numero uno> risposi sincera dopo qualche attimo di silenzio. Lui sospirò rilassato, per poi abbracciarmi: <Grazie, grazie> disse. <Di che mi ringrazi? Grazie a te che ti sei confidato> risposi, ricambiando quella stretta che per una rara occasione proveniva da lui. Si staccò poi, e mi guardò nuovamente: <Il mio discorso non è finito> si prese un attimo di pausa, per poi sganciare la bomba: <Ho parlato con Mario negli ultimi giorni. Anzi, lui mi ha parlato molto di te> disse. Sospirai, stavolta con il cuore di nuovo pesante che correva velocemente nel mio petto. <Mi ha detto che sta soffrendo, che è molto dispiaciuto, che ti doveva parlare prima di fare quello che ha fatto, che ci tiene tanto a te e che è geloso di Andrea> elencò. <Ma Andrea ed io siamo amici> controbattei. <Lo so, lo sanno tutti. Ma questo fatto che voi vi vediate da soli, che parliate sempre tanto, che vi confidiate, a lui non va giù. Non so che boh pensieri si sia fatto, anche perché lui e Andrea sono come fratelli: stanno insieme tutto il giorno tutti i giorni, per un periodo hanno pure vissuto assieme con Mirko, scrivono le canzoni insieme. Non so perché pensi sta cosa> riflettè Matteo. <Ma sei sicuro che non lo sai proprio?> dissi, dubbiosa. <Mario ha detto che lo insospettisce il fatto che lui parli sempre di te. Gli ho fatto presente che anche io parlo sempre di te, ma che a lui non abbia mai dato fastidio> rispose. <E quale sarebbe la differenza?> incalzai ancora. Matteo scosse la testa: <Che vuole vedere quello che vuole vedere> disse, ma incerto. Mugugnai in assenso non troppo convinta, ma decidemmo di uscire a fare aperitivo, dato che ormai erano quasi le sette di sera, di una meravigliosa serata di fine maggio, per festeggiare la decisione di Matteo e distrarmi dalle mie paturnie amorose. Con i mezzi, impiegammo una vita ma almeno per le otto eravamo seduti in un bar carinissimo in una via poco affollata, ma frequentata vicino al centro, a sgranocchiare delle patatine orribili e sorseggiare delle birre. <Come si sta bene oh!> esclamò Matteo. <Potrei farci l'abitudine> aggiunse, sorseggiando la birra. <Hai già parlato con i tuoi?> dissi poi, ricordandomi di non avergli chiesto nulla. Il mio amico si rabbuiò: <No, stasera ti ho chiamata sia perché volevo la tua opinione più di quella di chiunque altro, dopo quella degli altri ragazzi e di mia sorella ovviamente, sia perché volevo chiederti se potessi rimanere da me stanotte quando torneremo per dirlo ai miei. Già da domani sarò operativo e prima glielo dico, meglio è> disse, con un tono di voce basso e quasi sconsolato. <Mattè i tuoi ti hanno sempre detto o studi o lavori, no? Stai per iniziare a lavorare. Credo che li basterà questo> asserii convinta, pur avendo poco presenti i genitori del mio amico, a parte tramite qualche suo racconto. Lui sospirò, poi rispose insicuro: <Lo so e hai ragione perché anche io per quel motivo mi sento sereno, nel giusto, ma se li avessi delusi un'altra volta? Magari volevano un figlio laureato> continuò con il suo flusso di coscienza. <Se ne faranno una ragione. Anzi no, son sicura che quando diventerai famoso a parte che avrai me e gli altri che ti diremo "te l'avevamo detto" a suon di colpi per tutte queste paranoie che ti stai facendo, ma anche loro saranno felicissimi> risposi sincera, con un sorriso. Poi sollevai la birra, quasi mezza vuota: <Alla tua meravigliosa carriera> dissi. Lui fece scontrare la sua bottiglia, che versava più o meno nelle stesse condizioni: <Alle tue paturnie amorose> rispose ridendo. Verso le dieci e alla terza birra, un po' barcollanti, ci alzammo e pagammo per poi ritornare verso casa sua. Il pullman passò con una calma che mi fece venire i nervi, mentre Matteo, abituato, mi canzonava chiamandomi viziata. Alla fine arrivammo a casa sua alle undici inoltrate e Matteo si era già crogiolato e tranquillizzato nel pensiero che ai suoi avrebbe parlato il giorno dopo. Ma appena girò le chiavi nella toppa e aprì la porta di casa sua, notammo una ragazza e un uomo seduti al tavolo della cucina. <Buonasera> salutò lui, e poi ricambiai anche io. <Ciao pà, ciao Clau. Cosa ci fate svegli?> chiese Matteo, avvicinandosi alle due figure. <Stavamo chiacchierando, tua sorella è appena tornata da un'uscita e quindi ci siamo messi a parlare. Tua madre già dorme> disse. <Buonasera, scusate l'intrusione, sono Beatrice, una compagna di corso di Matteo> mi presentai, stringendo prima la mano dell'uomo e poi quella di Claudia, che ricambiò la mia stretta con un bel sorriso, similissimo a quello di Matteo. <Allora ne parliamo domani, così ci siete tutti> disse il mio amico. I due annuirono e augurammo la buonanotte recandoci nella stanza di Matteo. <Ti lascio uno spazzolino nuovo, gli asciugamani e un vecchio pigiama di Claudia. Il bagno è libero, quando vuoi preparati con calma> disse. <Grazie mille, vado subito> ricambiai. Sparii per un quarto d'ora circa, poi tornai trovando Matteo spiaggiato sul suo letto con il telefono poggiato all'orecchio, intento ad ascoltare un audio. <Era Mario> disse, non appena finii di ascoltare e io mi ero già coricata nel letto accanto a lui. <Che voleva?> chiesi, agitata e incuriosita. <Domani pranza con noi. Non ti lamentare. Mo' dormiamo, notte notte> disse, con un sorriso da schiaffi. Per tutta risposta, gli tirai un pugno scherzoso sul braccio, girandomi dal lato opposto e crollando poco dopo nel sonno.
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il fabbricante di chiavi/tedua
Fanfictionse non nascerà qualcosa sarà polvere da sparo