Sarà il momento di un portone nuovo

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Non vidi né sentii parlare di Mario per almeno un mese e mezzo. Matteo continuò a frequentarlo, ma evitava di parlare delle uscite che facevano o dei progetti comuni che organizzavano. Andrea, che piano piano si inserì nella mia cerchia di amici e che spesso veniva a scrivere i testi nella mia stanza, ometteva il suo nome e la sua presenza nei suoi racconti. Laura, invece, a volte chiedeva di lui: non so se lo facesse perché voleva capire se potesse tornare nella mia vita o volesse vedere la mia reazione, ma quando la domenica ci riunivamo a casa mia per il pranzo, solitamente dopo che io avevo sistemato la tavola, scolato la pasta e infornato il secondo, la mia amica versava il vino a tutti i commensali e poi chiedeva: <Come sta Mario? Che dice Mario?> e solitamente Matteo, guardandomi con la coda dell'occhio, rispondeva vago: <Tutto bene, sta finalmente iniziando a registrare> o <Tutto bene, è stanco perché fa tanti lavori per pagarsi lo studio e i videoclip> o ancora <Tutto bene, sta scrivendo un sacco di bei testi> e poi la conversazione moriva e Claudia cambiava discorso, raccontando insieme a Luca delle loro ultime gite e Andrea interveniva incuriosito, mentre si ingozzava di pasta e vino. In quei momenti mi veniva la malinconia e notavo la sua assenza: sentivo la voglia di scrivergli, di sentirlo anche solo un secondo per messaggio e di chiedergli come andasse la sua vita, come andasse a lavoro, cosa scrivesse in quei testi, cosa ideasse per i videoclip. Ma alla fine lasciavo stare, mi chiudevo nel mio silenzio e lasciavo che la domenica trascorresse tranquilla, cristallizzata nel pranzo e nel pomeriggio, nelle poche ore in cui riuscivo a studiare e nel fine serata che, nostalgico, segnalava la fine di una settimana e l'inizio di un'altra.
Riapparve improvvisamente: era un mercoledì pomeriggio e mi stavo dedicando alla ripetizione finale del mio esame. Ero sola in casa dato che Claudia era fuori città per un progetto di facoltà quando il citofono interruppe il mio parlare ininterrotto sulla globalizzazione e il silenzio che regnava nel resto della casa. Fermai la mia camminata nervosa, stetti immobile per qualche minuto con le orecchie tese, per poi fare finta di nulla e riprendere a parlare: capitava, molto spesso, che i corrieri confondessero i citofoni e che molti pacchi dei miei vicini che venivano recapitati, venissero attribuiti a me. Ma una seconda e poi una terza suonata, mi portarono ad uscire dalla mia stanza e recarmi nel salotto. <Chi è?> chiesi stranita, dato che per quel giorno non aspettavo visite. <Ciao, sono Mario. Mi faresti salire? Devo lasciarti una cosa per Matteo> disse. <Non potevi darla ad Andrea o a Laura?> domandai improvvisamente nervosa. <Ho provato a passare da loro, ma sono tutti fuori casa. Allora, mi fai salire?> chiese. Mi limitai ad aprire i due cancelli e poi aprii la porta del mio appartamento, attendendolo sull'uscio. Poco dopo comparve dalle scale e mi sembrò tutto così naturale e abitudinario che per un attimo dimenticai il nostro trascorso. <Buon pomeriggio> disse, forzando un sorriso. Provai a ricambiare debolmente: <Ciao, entra pure>. Incerto, si mosse verso l'interno del mio appartamento. Notai che i suoi capelli erano leggermente cresciuti di qualche centimetro, aveva cambiato modo di vestire e anche la sua camminata si era fatta più spedita. Mi porse una busta: <Qui dentro ci sono delle apparecchiature che mi ha chiesto Matteo. Gli ho lasciato anche alcuni testi, vorrei la sua opinione. Ha detto che stasera dovrebbe passare qui, quindi se glieli potresti dare mi faresti un favore> disse, gesticolando e indicandomi la busta. Annuii, poggiandola delicatamente nel tavolo della cucina. <Certo, non preoccuparti> dissi. Lui rimase un attimo in silenzio, poi si diresse alla porta: <Io vado. Per quanto possa valere, mi ha fatto piacere vederti, ti trovo bene> disse, ormai praticamente fuori dal mio appartamento. <Grazie> riuscii soltanto a dire, sentendo il cuore battere all'impazzata e gli occhi farsi lucidi. <Buona serata> disse, prima di sparire per le scale e poi per la città. A malincuore, tornai alla mia ripetizione, ma ormai la mia testa era altrove e così alle sette e venti, decisi di abbandonare tutto. Coincidenza delle coincidenze, Matteo citofonò dopo neanche dieci minuti, facendo la sua comparsa qualche minuto dopo: <Ciao> salutò, entrando e dirigendosi subito in cucina. <Mi daresti dell'acqua?> chiese poi. Notò la busta sul tavolo: <Questa è per me vero?> domandò mentre gli versavo l'acqua nel bicchiere. <Sì, Mario mi ha detto che ci sono delle apparecchiature e dei testi che ha scritto> dissi, facendo la finta disinvolta, ma senza guardarlo in faccia. <Okay. Dopo ti va di leggerli?> chiese, mentre sorseggiava l'acqua. <Non so se lui voglia> sussurrai. Non so se io voglio. Sottintesi. E Matteo lesse tra le righe, tra i miei occhi tristi: <Non sai se tu hai voglia. Senti, se vuoi lo chiamo e glielo chiedo. Ma sai già la risposta> rispose il mio amico, estraendo degli oggetti che non riconobbi, ma che mi sembrarono particolarmente costosi, e dei fogli. <Vediti questo> borbottò, porgendomi un foglio a quadretti mezzo scribacchiato. Inizialmente rimasti in piedi a fissare quel foglio, poi decisi di sedermi e prestarci veramente attenzione.
Finché il gioco regge faccio finta che non mi manchi
Sotto il semaforo, all'incrocio dei nostri sguardi
Verso la stessa direzione ma all'opposto di due lati, io e te
come le ali degli aeroplani
<Matte questa mi piace un botto> dissi, quasi senza riflettere più di tanto. Il mio amico sollevò la testa da un altro foglio con parole che sembravano più sconnesse di quelle che avevo nel mio. <Fammi leggere> rispose, facendomi un cenno con la mano e mettendo da parte il suo foglio. Lesse fino a dove era arrivato e poi sorrise: <Che furbo, ha ripreso un'altra sua strofa, credo> borbottò, scuotendo la testa mentre rideva. <In che senso?> domandai sinceramente curiosa. <Ci sono due sue canzoni di un paio di anni fa ormai, dove ha scritto delle cose simili, se non sbaglio> rispose. <Ma se lo facessi venire qua? Così ti spiega come scrive. Ti piacciono queste cose, dopo tutto, lo fai anche con Andrea> chiese subito dopo, con il telefono già tra le mani. Annuii incerta. <Ci sono anche io, non ti mollo> disse rassicurandomi, mentre faceva partire un vocale. <Ciao Mario, sono qui con Bea a leggere i tuoi testi e stavo notando delle somiglianze con certi tuoi vecchi pezzi. Che ne dici di venire qui da Bea a spiegarci un po' come lavori?> concluse, chiudendo la nota vocale. Sospirai, di nuovo nervosa. <Ti piace ancora> asserì Matteo dopo qualche minuto di silenzio. <Sì, e non riesco a stargli intorno, ti giuro. Il mio cervello resetta tutto quello che è successo quella sera, l'ultimo mese e mezzo dove ho passato tutto il tempo a chiedermi come stesse, come gli stesse andando la vita, senza poterglielo effettivamente chiedere. E ora che potrebbe tornare a far parte della mia vita, sento che in realtà non se n'è mai andato> dissi, evitando di guardare Matteo e lasciando che i miei occhi si inumidissero. <Bea ti sei innamorata?> chiese. Annuii. <Credo eh. Cioè l'amore è una diversa. Ma innamorarsi lo sento così> feci spallucce. Il nostro discorso filosofico venne interrotto dal suono del citofono, per la millesima volta in quella giornata, e la voce di Matteo, ironica, che esortava Mario a salire velocemente nel mio appartamento. Una volta entrato, si sedette davanti a me e il mio amico e prese il foglio che prima si trovava tra le mie mani: <Questa l'ho scritta relativamente da poco> disse, guardandomi di sottecchi. <Da poco quanto?> chiese allora Matteo, non so se ingenuamente o di proposito. <Settimana scorsa> mormorò Mario, quasi impercettibilmente. <Ah> sbottò il mio amico, agitandosi leggermente sulla sedia. <Infatti è ancora un po' da rifinire, così come l'altra.
Quella dei semafori è di Per le tue e faceva una roba come
Resto fermo al semaforo
dato l'intenso traffico all'incrocio degli sguardi
Quella frase degli aeroplani è di Skid Row, era tipo
Ma noi stiamo lontani come alba e tramonto
le ali degli aeroplani
chi si guarda attorno
sta all'opposto di due lati
e non gli basta un secondo
non gli basta un ritorno per rifarsi.>
Nella stanza calò il silenzio, interrotto solo dal rumore della mia sedia che strideva sul pavimento e dai miei passi. <Scusate> ebbi la forza di mormorare, prima che le lacrime cadessero copiose sulle mie guance e fui costretta a chiudermi in camera. Prima di creare il panico, scrissi a Matteo di darmi qualche minuto per ricompormi (non scannare Mario nel mentre, ti prego fu il vero messaggio) e dopo una decina di minuti abbondante, feci ritorno nella mia cucina. <Ordiniamo da mangiare?> chiese il mio amico per alleggerire l'atmosfera. <Pizza?> proposi, dato che era da un po' che non la ordinavo. <Perfetto> accordarono i due, mentre sceglievano i gusti e Matteo si allontanava per chiamare la pizzeria. <Scusa> disse Mario, mentre in sottofondo e nel rimbombo del mio piccolo appartamento, Matteo elencava i vari gusti. <Non fa nulla, davvero, non hai nulla di cui scusarti, ancora> risi imbarazzata. <Non avrei dovuto trattarti così> continuò. Ebbi la forza di sollevare lo sguardo e guardarlo negli occhi. Sentii subito una morsa allo stomaco, il cuore accelerare: <Non avresti dovuto, ma l'hai fatto. È il passato> dissi, con non so con quale sicurezza. Lui annuì deluso. <Non mi hai ancora perdonato> asserì, tamburellando le dita su un pezzo di tavolo non coperto dai suoi fogli. <Mi ci vorrà un po'> sentenziai semplicemente. Mi porse il foglio che leggevo prima che lui arrivasse, con tanta curiosità e interesse: <Questa frase mi è venuta in mente una sera mentre stavo guardando la finestra di casa mia, quella grande. Mi è tornata in mente quando ho visto il tramonto e gli aerei che passavano. E ti ho pensata, tantissimo> raccontò. <Ho pensato di scriverti, o di chiamarti, e di dirti che in quel momento ti stavo pensando tantissimo, poi però ho pensato che non fosse opportuno e allora ho scritto> concluse, indicando la frase e poi parte del resto che non avevo letto.
E se tieni a me
non mi mancare di rispetto mai
non perder la fiducia in noi
Allontanai il foglio. <Sei tu che mi hai mancato di rispetto> asserì, guardandolo negli occhi. <Non- non era riferita a te, pensavo ci stesse bene e-> <Mario, se hai qualcosa da dirmi, dilla ora> dissi. Sospirò. <Non so come fare per rientrare a far parte della tua vita. Mi manchi. Per favore> rispose. <Allora mi scrivi le canzoni?> mi innervosii. <Non so come altro comunicare>. Annuii. <Vediamo come va stasera>. Matteo tornò in cucina poco dopo: <Tra poco arrivano le pizze> quindi sistemammo e parlando del più e del meno, la serata trascorse senza intoppi. Verso le undici e mezza, i due ragazzi abbandonarono casa mia, raccomandandomi di non studiare troppo la mattina successiva, che era la mattina prima dell'esame che si sarebbe tenuto il pomeriggio, e di dar loro notizie anche se l'esame era scritto e avrei saputo i risultati solo molto dopo. Li ringraziai e li vidi sparire in sella al motorino di Mario nell'aria quasi primaverile di Milano.

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