XII - Tradimento

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Vereheveil sorrideva. Era nella sua camera e guardava fuori dalla finestra aperta. Si accarezzò i capelli verde acqua, mentre un vento leggero gli scompigliava la veste arancio. Osservava i suoi figli, che giocavano nel cortile. Il bambino patito dei numeri e la sua sorellina minore si stavano rincorrendo fra le aiuole, ridendo. La loro madre, Dea della Parola, stringeva fra le braccia un fagottino addormentato, l'ultima creatura da lei nata in seguito all'unione con il Dio delle Letterature. Vereheveil osservò la donna ed il neonato con orgoglio. Kavahel urlava contro il fratello Destino, che si era appisolato sotto un albero mentre la sorella Kaos gli tirava le pigne. La giornata era piacevole ed assolata. Il Dio delle Letterature chiuse le tende, sentendosi chiamare.

"Chi è?" domandò, sospettoso.
"Chi vuoi che sia?" si sentì rispondere. "Sarmorghell...sei tu!".

Il giovane, dai capelli corvini e dallo sguardo orientale, gli sorrise. La camicia di lino dell'angelo era larga, stretta solo in corrispondenza dei polsini, ed aperta. I grossi bottoni decorati brillavano alla luce del sole. L'ampia cintura con la fibula d'oro sosteneva i pantaloni, neri ed avvolgenti. Teneva le mani in tasca. Tolse gli stivali, alti e con borchie e cinghie, avvicinandosi al Dio delle Letterature. Vide la sua schiena fremere al contatto con le sue ali piumate e blu-verdi.

"Come hai fatto ad entrare?" sussurrò Vereheveil.
"Mi hai dato le chiavi" rispose Sarmorghell.
"Sì, ma...come hai fatto a salire senza che mia moglie o i miei figli ti vedessero?". "Io sono molto discreto".
"Questo è certo...".
Si osservarono, in silenzio.

Sarmorghell si perse nell'osservare le diverse migliaia di libri di quella stanza, e quella, in fondo, era anche piccola rispetto alle altre. Vereheveil, invece, osservò le movenze leggere dell'angelo dai capelli neri. Ora il Dio delle Letterature dava le spalle alla finestra, facendo agitare dal vento le piume delle sue ali nere.

Anch'io, un tempo, ero un angelo come la creatura che mi sta di fronte pensò, appoggiato al balcone.
"Cosa direbbe tua moglie, se mi trovasse qui?" domandò Sarmorghell, sfogliando un piccolo libricino rilegato.
"Non saprei...intendi dire se sapesse di noi? Probabilmente si arrabbierebbe...o forse non le importerebbe per niente".

"Che amore..." commentò, sarcastico, l'angelo.

Il Dio lo fissò con aria interrogativa. "Scusa ma a te che importa?" chiese.

"Niente. Perché ti sei sposato?" continuò l'angelo, saltellando da uno scaffale all'altro della camera e sbirciando i libri che riteneva più interessanti.

"Che strana domanda..." rispose il Dio.
"Ma dovuta. Tu non la ami" esclamò il giovane dai capelli corvini, con sicurezza.
"Mica ci avrei fatto dei figli!" si difese Vereheveil.
"Balle. Tu l'hai fatto solo perché eri stufo di stare da solo".
"In questo caso...ti comunico che lo sono ancora. Se devo proprio ammetterlo...".
"Non ti basto io?".
L'angelo sorrideva nel chiederglielo. Ma il Dio rimaneva serio.
"Non lo so..." rispose, chinando il capo.
"Oh, Vereheveil! Sei sempre alla ricerca di qualcosa...o qualcuno!" ridacchiò l'angelo.
"Ma è vero!" protestò il Dio.
"Hai una bella famiglia, una bella casa, una bella moglie ed una bella vita. Ma non ti basta! Che altro vuoi?". Sarmorghell spalancò le braccia, rassegnato.
"Ti importa davvero?" esclamò, scocciato, Vereheveil.
Il giovane rimase in silenzio. Era rimasto deluso da quella domanda. Come poteva pensare che non gli importasse?!
"Sei crudele" sussurrò, girandosi.
Vereheveil tentò di scusarsi. Ma l'angelo si accigliò.
"Non ti rendi conto delle meraviglie che ti appartengono" esclamò, a braccia incrociate.
"E tu? Sono sicuro che anche tu hai tante cose che...".
"Ovvio. Io non le disprezzo, a differenza di te!".
"Tua sorella?" azzardò il Dio.
"Io adoro mia sorella. Anche se lei ora è con Luciherus a spassarsela, e probabilmente la pensa come te".
"Hai solo quella sorella?".
"No. Noi siamo in tanti".
"Quanti?".
"Non lo so...tanti!".
Il Dio tentava di farlo sorridere di nuovo, parlando del più e del meno.
"Parlami della tua famiglia. I tuoi genitori?".
L'angelo rispose con un'altra domanda: "E i tuoi?".
"I miei sono morti, tantissimo tempo fa".
Sarmorghell guardava altrove.
"Vorrei farti un regalo" esclamò il Dio, avviandosi verso la sua scrivania in legno antico.
Ne aprì uno scomparto e ne estrasse un pacchettino. L'angelo lo fissò, con sospetto.
"Cos'è quella faccia?! Non è mica una bomba!" lo derise Vereheveil.
"Fai un regalo a me...e non a tua moglie?".
L'angelo si sedette in terra, continuando a leggere. Vereheveil non capì il suo atteggiamento.
Andò a sedersi accanto a lui, abbassandogli il libro. Scopertogli il viso, lo baciò lievemente.
"Adoro le tue labbra, i tuoi occhi scuri ed i tuoi capelli".
Sarmorghell non rispose subito. Poi sospirò e sorrise: "Ed io adoro le tua ali nere come la notte ed il tuo sguardo dorato". Abbracciati, l'uno all'altro, chiusero entrambi gli occhi.
"Tu non mi ami, Vereheveil, lo sento!" gemette l'angelo.

"Ma che cosa dici?!" esclamò, stupito, il Dio.

"Ieri sera..." sospirò il giovane dai tratti egiziani o orientali "Ieri sera...tu mi hai chiamato Kasday. Lo fai anche con tua moglie? Quando le hai fatto concepire i tuoi figli, l'hai chiamata con un nome diverso?".

Il Dio si scostò dall'abbraccio, con una strana espressione.

"É stato un errore...a volte capita! Ma non lo faccio continuamente...".

Sarmorghell si rabbuiò, guardando il pavimento e rigirando fra le mani il pacco regalo con il suo vistoso fiocco.

"Vieni a letto" gli sussurrò il Dio all'orecchio, scostando uno dei ciuffi più lunghi della pettinatura corvina.

L'angelo aprì il regalo. Era un elegante bracciale in oro con diverse pietre preziose incastonate.

"Ho cercato di trovare delle pietre che si intonassero con la collana che porti sempre" spiegò Vereheveil, sedendosi sul letto.

Sarmorghell strinse la collana fra le mani.

"É uno scarabeo sacro dell'antico Egitto. Mi è stato regalato da Anubis".

"Anubis? Uno degli antichi Dèi della Morte? Che meraviglia. È davvero uno splendido gioiello". "Grazie. Anche quello che mi hai regalato tu è meraviglioso. Ti ringrazio ".

L'angelo indossò il bracciale e sorrise, pur avendo sempre una strana espressione perplessa.
"Tutti noi fratelli indossiamo la stessa collana, o comunque molto simile. Pulsa di luce azzurra al ritmo del nostro cuore". "Vieni qui, accanto a me, e mostramela da vicino".

L'angelo si alzò, lentamente, ed andò a sedersi accanto al Dio, che lo abbracciò teneramente. Con le mani infilate nella camicia dell'angelo, il Dio chiuse gli occhi e sorrise. Il giovane rimase immobile. "Non mi dai nemmeno un bacio?" chiese Vereheveil, baciando l'angelo sul collo.

Sarmorghell non reagì, nemmeno quando il Dio gli tolse la camicia.

"So che cosa farai..." si limitò a mormorare.

"Davvero? Cosa ti farò?".

"Mi spoglierai ma poi non arriverai fino in fondo, non ne avrai il coraggio o la voglia. Eppure...io sono un angelo. Sono asessuato e puoi fare ciò che vuoi con il mio corpo...".

Vereheveil non rispose. Non capiva cosa avesse quel giovane. Si sentì frustrato dal suo atteggiamento e lo respinse.

"Vattene!" esclamò "Se non hai voglia di stare qui, con me, allora va via. Non ti ho detto io di venire fino a qua! Tornatene da dove sei venuto! Se invece sei qui per me, smettila di fare così". L'angelo sospirò ed il Dio si sentì in colpa per ciò che aveva appena detto, ma non trovava parole per scusarsi. Inaspettatamente, Sarmorghell si girò verso Vereheveil e lo baciò, a lungo e ad occhi chiusi. Si distesero entrambi, rimanendo in silenzio ed ascoltando, l'un l'altro, il battito del proprio cuore.

"Sta arrivando qualcuno dalle scale!" esclamò l'angelo, alzandosi.

Cercò la camicia di lino e si rivestì, andando in un angolo, nel buio. Vereheveil si accertò che non si potesse vedere e poi sentì la porta aprirsi. Entrò il piccolo Dio dei Numeri.

"Papà..." esclamò il bambino, sorridendo "...ci sono dei tizi di sotto che vogliono parlare con te". Il Dio delle Letterature fece un cenno, dando segnale che aveva capito.
"Dì loro che arrivo subito" rispose.
Il bambino annuì e lasciò la stanza. Vereheveil chiuse la porta e guardò verso il buio.

"Puoi uscire adesso, Sarmorghell".
L'angelo uscì dall'ombra. "Và, che di sotto ti aspettano" disse il giovane.

"Vieni anche tu! Fai un giro per dietro ed entra dalla porta che dà sulla mia classe. Presentati come mio allievo. Sarei felice di mostrarti come i miei preziosi consigli aiutano delle persone...". L'angelo scosse la testa, poco convinto.

"Mia sorella mi aspetta...".
"Ma se è con Luciherus...avrai molto da aspettare!".

Il Dio ridacchiò, specchiandosi. Si stava sistemando la veste e i capelli, riflettendosi sullo specchio, grande come la sua intera figura.

"Non serve che stai tanto a sistemarti. Non ti ho spettinato!". "Quanto sei cinico oggi, Sarmy!".
L'angelo sghignazzò, quasi malvagiamente: "Muoviti...".
"Ok. Vado. Ma tu raggiungimi, mi raccomando!".

Sarmorghell non disse niente e si limitò a fare un cenno con il capo.

LA CITTA' DEGLI DEI - LA LUCE DEI CELESTIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora