XI - Intrusi

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Kasday rimaneva nel buio, in attesa che tutti se ne andassero. Appoggiò la testa contro il muro, sospirando. Nosmagiés era addormentato e lui si annoiava. Stava nella camera del suo angelo, affascinato nel vederlo dormire. Ne osservava la schiena, le piume, il viso dolce e rilassato. Era una cosa rara vederlo così dato che il Messaggero, normalmente, era sempre un po' teso e rabbuiato.

Un rumore, improvviso, e lo stato emotivo dell'Alto mutò. Ora era impaurito. Non voleva la gente. Non poteva sopportare le parole, i suoni, le bugie, le grida...voleva stare solo. Solo e in silenzio. Guardando dalla finestra, notò che tutti i visitatori e gli intrusi se ne erano andati, erano ormai lontani dalla rampa di scale che portava all'ingresso del palazzo. Sorrise, rilassandosi.

Era tutto finito. Era di nuovo solo.
"Kasday!".
Lui sobbalzò.
"Momoia..." sbiascicò, scocciato.
Sperava di stare, finalmente, in pace ma non era ancora il momento. "Cosa vuoi?!" domandò, accigliato.

"Non parlami così, ragazzino!" lo rimproverò Momoia, irata.

"Non chiamarmi ragazzino!" protestò Kasday "Sono stufo di essere chiamato così! Non lo sono da tempo. Ho più di due Ere...e sono stanco".

"Stanco? Stanco di cosa?" ridacchiò la Madre, inclinando il capo.
"Di tutto" rispose lui, conciso, distogliendo lo sguardo.
"Di tutto?!".
"Sì. Di tutto. Non ho mai voluto essere un Dio e, meno che mai, ho desiderato essere ciò che sono ora!". "E allora che cosa vuoi?" scherzò lei.

"Te. Fuori di qui! Sparisci!" ringhiò Kasday, mentre i suoi capelli si gonfiavano per il fastidio. "Davvero vuoi questo? Solo questo?" lo stuzzicò lei.

"Volevo solo...un..." parlò lui, a bassa voce.

"Un?!" sorrise lei, allungando il collo, curiosa.

"Lo sai!" sbottò lui.

"Dillo!" esclamò lei, tranquilla e felice.

Kasday strinse i pugni. Due grosse corna rosso scuro ora campeggiavano sulla testa dell'Alto, segno inequivocabile che provava rabbia.

Si girò, di scatto verso di lei ed urlò: "Volevo solo essere lasciato in pace. Volevo avere dei figli, volevo vederli crescere... volevo una bella famiglia, volevo una vita normale! Ecco quello che volevo! Ora sei contenta?! Vattene!".

Nosmagiés, svegliato dall'urlo del suo padrone, aprì gli occhi di scatto, stupito di vedere Momoia e il suo Signore nella sua camera. Non disse nulla, leggermente turbato da quelle due presenze. "Perché non combatti?" sibilò la Madre, rivolta all'Alto che non la guardava più, tentando di riprendere il controllo.

Le corna di lui stavano tornando a sparire.

"Io combatto. Mi trascini con la forza alle tue battaglie".

La voce di lui era di nuovo calma, pur avendo le braccia incrociate.

"Sì. È vero. Ti ci trascino. Ma poi tu sparisci! Non ti ho mai visto in uno scontro diretto fino ad ora!".

"Non amo uccidere. Me ne sto in un angolo..." ammise lui, a bassa voce.

"Ma allora non l'hai ancora capito che mi devi obbedire?!" esclamò lei, spazientita.

"Sono debole, Momoia. Non ho sufficiente energia per uccidere i tuoi nemici. Non ho nemmeno la forza necessaria per togliere la vita ad una divinità minore...figuriamoci ad un Alto!".

"Questo lo so. Sono io che mantengo il tuo livello magico così basso. Sei completamente pazzo...chissà che faresti senza controllo!".

Lei presentava il suo vero aspetto. Le enormi ali da farfalla, terminanti con una piccola mano, sfavillavano nonostante la pochissima luce della stanza. La sua rabbia si manifestava con l'alzarsi di una vistosa cresta verde, normalmente rilassata e non vedibile. La membrana, di cui era composta la strana escrescenza, aperta, partiva dalla fronte di lei per poi protrarsi lungo la schiena e terminare con una lunga coda frustante.

LA CITTA' DEGLI DEI - LA LUCE DEI CELESTIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora