Volumi, pergamene polverose e la bottega dei misteri.

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- Cammina.-

Sibilò Ithil spingendo il vampiro davanti a sé, l'aria pungente della notte rossa sangue dell'estate le solleticava le narici, troppi profumi e odori diversi si spandevano nella strada affollata grondante delle ultime persone che smontavano i carretti pieni di vettovaglie, bestiame e cibo, il mercato ormai era concluso, erano tutti in procinto di ritornare ai loro villaggi, e chi viveva lì si preparava a ritornare nelle case in affitto o delegate dal consiglio locale a cui dovevano versare tre denari mensili, per poterle abitare insieme alla famiglia.

I mendicanti stavano ammucchiando le loro misere cose nei loro laceri sacchi di iuta e cercando degli angoli dove passare quel che restava della notte, al riparo dai briganti e ubriachi.

E sopratutto, angoli poco visibili alle guardie notturne di vigilanza con le loro armature verdi e i simboli della casata del signore locale, un aquila nera a due teste.

Pochi sopravvivevano alle ronde notturne, e il giorno dopo era compito delle lavandaie e donne del popolo ripulire le strade alle luci dell'alba prima che la città si svegliasse del tutto.

Ithil non sopportava il lezzo di quella gente, umani sporchi, concitati con la puzza di paura, di sangue marcio, insieme a quello delle loro cibarie e verdure marce, o le spezie troppo intense, era in quei momenti che l'elfa rimpiangeva la vita nei boschi della sua infanzia.

Guardandosi intorno, sempre con un cappuccio sul capo o i capelli ampi a nascondere le orecchie a punta, tentava di individuare, ormai da più di dieci anni mentre dava la caccia a lui, altri del suo gruppo di sopravvissuti, ma invano, o soltanto fra la folla delle tante città e villaggi che aveva visitato, una razza diversa da quella umana, o peggio, dai vampiri.

Si ricordava, Ithil, della famiglia di nani che vendeva pane di segale lavorato nelle fornaci delle grotte sotterranee, alle pendici delle montagne lucenti, dove viveva la maggior parte del loro popolo, e i tarpinari, i topi- lucertola che riuscivano a comunicare mentalmente con cui giocava da bambina, una società intelligente a dispetto della stazza, spariti tutti, insieme al suo popolo, e il reame di Mindul che governava le nove terre pianeggianti con sede Issergundu, retta da una nobile famiglia di stregoni...spariti, alcuni sterminati altri fuggiti chissà dove.

La donna sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, no, non era il momento, ma ciò che la fece riprendere del tutto fu il gemito del vampiro.

Maledetto essere... quanto vorrei ucciderti qui, in mezzo a questi miserabili umani.

- Non lo fare.-

Mormorò una voce accanto a lei, Ithil sorpresa si guardò intorno, ma vedeva solo la folla di persone, le mura in pietra color sabbia che circondavano la terza cerchia, quella più interna alla città che racchiudeva il suo nucleo principale, e le guardie che ancora sonnecchiavano, tanto nessuno di quei popolani si sarebbe azzardato a ordire un assalto, e questo per l'elfa costituiva un vantaggio, sarebbe stato più semplice fuggire dalla città attraverso un passaggio segreto che solo lei conosceva...

- Sono qui.-

L'elfa gettò un occhiata al vampiro che non sembrava aver colto nulla, il cappuccio nero sugli occhi, camminava alla cieca, perso nelle nebbie dell'oppio giallo che lei gli aveva somministrato insieme al suo sangue, per tenerlo tranquillo e docile.

La luna blu illuminava le strade come fosse giorno, la donna dovette strizzare gli occhi per distinguere la figura accanto a lei, alta e magra come un bambino.

E difatti lo era, un bambino, almeno dall'aspetto, ma il volto era animalesco, pareva un misto fra il muso di un lupo e quello di un normale bambino di sette anni, ma senza il pelo e le zanne, vene bluastre e cicatrici circondavano quel visino grottesco, gli occhi blu elettrico fissi su di lei.

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