Riunione di divinità sotto l'occhio vigile di un libero arbitrio inesistente.

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- Che cos'hai fatto? -

L'essere ringhiò in direzione di una figura magra e bassa, la testa china, i neri capelli arruffati calati sugli occhi e le braccia incrociate a stringersi il corpicino magro.

Colui a cui erano rivolte quelle parole aveva la sembianza un bambino
umano, di circa sei anni.

- Mia signora, le mie azioni sono state dettate dall'importanza che questi esseri avranno in futuro, non potevo lasciarli morire, sono importanti, anzi essenziali, e lei lo sa bene.-

L'essere di sesso femminile a cui il ragazzino si stava rivolgendo ossequiosamente, assomigliava a un grottesco folletto, alto due metri dalla stazza simile a un orco, dalla pelle grigia rugosa, cadente, gli occhi completamente azzurri senza pupilla né iride, ma opachi di cataratta giallastra, vischiosa come muco.

I capelli erano neri, stranamente lucidi e soffici, data l'età avanzata della creatura, lunghi fino alla schiena e raccolti in una treccia, avvolta intorno al collo.

Il folletto era seduto su una sedia di granito, rozza e senza decorazioni, a differenza delle altre undici che vi erano, riunite in cerchio, intorno alla grande sala di marmo, spoglia e senza finestre solo colonne e un enorme lampadario fatto di cona di cervo, al cui interno, al posto di candele accese vi erano, come i troni e le persone sedute su di essa, tredici fuochi fatui a illuminare, senza calore, la stanza.

- Sciocchezze! Li hai salvati per pietà, e io non tollero simili debolezze, a furia di togliere la vita a questi esseri disgustosi che abitano questo lurido mondo sei diventato come loro! E ora dovrò rimediare.-

La voce, ora stridula, della femmina, Tisah si chiamava, simile a un enorme folletto, si perse come un eco, per la stanza.

Aveva il busto e il volto di un folletto, la stazza di un orco, le braccia stranamente umane, avvizzite come quelle di una vecchia, e le gambe erano quelle di un cavallo, e invece era di serpente la coda che giaceva, aggrovigliata su se stessa, ai piedi della vecchia.

Simili a lei erano le altre undici divinità sedute nel cerchio di troni, un misto di diverse specie di quel mondo, e gli occhi anch'essi dei bulbi completamente azzurri, solo gli Dei dei cielo, dell'aria e delle piogge, i gemelli Mitag e Itag, dal volto come quello di due grotteschi pulcini d'aquila, solo loro avevano gli occhi differenti dagli altri.

Essi avevano gli occhi completamente rossi, rilucenti e terribili come gli incendi in una notte senza stelle né luna.

Le loro teste si muovevano in sincronia, e allo stesso modo parlavano, finendo e iniziando le frasi a vicenda, come un lungo e interrotto monologo, come fossero una persona sola.

Gli occhi delle undici divinità erano fissi sul ragazzino, occhi che esprimevano biasimo, disprezzo ma allo stesso tempo un timore antico nei suoi confronti.

Timore che venne accentuato dal tono alto e stridulo di Tisah, la Dea che regolava lo scorrere delle stagioni, degli anni, la crescita di ogni essere vivente, il loro invecchiamento e infine lasciava il passo al ragazzino al centro della sala, il Dio della morte, che in quel momento aveva le sembianze dell'ultima anima umana che si era portata via con sé per consegnarla a Lakith, il Dio giudice col compito di smistarla, negli Inferi o nel Regno eterno.

Era stato proprio Lakith, una volta giudicata l'anima e consegnata nel luogo assegnato, a condurlo lì nella sala dove si riunivano in caso di emergenze e decisioni importanti, la sala dei tredici troni, una "riunione" capeggiata da Tisah, la Vecchia.

Sapeva perché avevano scelto lei, sapeva che nel momento stesso in cui aveva salvato la vita a quel vampiro, poi a quei ragazzini elfici e infine al ragazzino - lupo, di aver corso dei rischi, che se ne sarebbero accorti prima o poi, tutti quanti si sarebbero accorti che qualcosa nell'equilibrio di quel Mondo era mutato, e non solo la Vecchia.

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