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Stavamo camminando, mia Nasten'ka, nella sera fiorentina. Percorrevamo le stesse strade dei giganti del passato, come li chiami tu. Eravamo soli, in quell'unica ora libera tra la fine della visita al museo e la cena. Mano nella mano, non riuscivo a distogliere il mio sguardo dalla tua bella aura. Mi apparivi come una Venere appena emersa dalla spuma del mare, i capelli lunghi scompigliati dalla fredda aria di novembre. Eravamo davanti a Santa Maria del Fiore. Sei stata il mio primo bacio.

Erano in cinque. Giacche scure, avranno avuto la nostra età, forse qualcosa in più.
«Che schifo» ha fatto uno. Un altro ti ha spinto via da me. Io non sapevo come reagire.
«Allesbiche!» ha gridato il primo. Gli altri ridevano. Tu piangevi. Non ti avevo mai vista piangere. Gli ho tirato uno schiaffo. Lui mi ha colpito e sono finito a terra. Una piccola folla ha iniziato a formarsi attorno a noi, quindi i ragazzi si sono dileguati. Tra quelle persone ho intravisto qualcuno con un telefono in mano, forse a registrare la scena. Nessuno è intervenuto.

Chiara mi ha aiutato a rialzarmi. La sua fredda mano tremava. Siamo corsi all'albergo senza dire una parola.

«Siete in anticipo» ha detto la prof. Ha aggrottato la fronte. «Hai un brutto livido in faccia»

«Non è niente» ho detto.

La prof ha sospirato.
«Se non ti senti bene, per stasera puoi rimanere in camera. Domani, mentre torniamo, vediamo se riusciamo ad andare in farmacia. Adesso sono chiuse». Fece per andarsene, quando Chiara disse:

«Posso stare anch'io in camera? Nel caso avesse bisogno di qualcosa».

La prof ha annuito distrattamente.

«Domani, però, vi voglio sveglie in orario e cariche per il viaggio» ha detto, prima di lasciarci soli.

In camera hai pianto ancora. Mi abbracciavi forte, i nostri corpi sembravano fusi insieme.

«Fa male?» ha chiesto sfiorando la ferita sul mio zigomo.

«Passerà». Le ho rivolto un sorriso per rassicurarla. Ho rivisto una debole luce nei suoi occhi.

Mia Nasten'ka, quella notte abbiamo fatto l'amore.

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