14-Capitolo

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Dopo aver passaro un magnifico pomeriggio tra chiacchiere e risate con Sally, decido di tornar a casa. Ormai è sera e la mia amica doveva andar via.
Una volta nell'atrio del palazzo nel quale vivo, aspetto esausta che l'ascensore scenda. Accanto a me c'è un uomo. Un soldato americano. Sembra impaziente di vedere qualcuno. La sua famiglia suppongo. Lo si puó notare da come si toglie e rimette il cappellino in testa, da come si morde il labbro inferiore e sorride in continuazione. L'ascensore finalmente scende e le porte si aprono.
-Papà!- urla un bambino che si getta tra le braccia dell' uomo. A seguirlo è sua madre che a sua volta abbraccia il figlio e suo marito.
Sebbene l'ascensore sia arrivato, non riesco a staccare gli occhi da loro. Tutti e tre che piangono e ridono allo stesso tempo, baciandosi e abbracciandosi. Inebetita rimango a fissarli per un paio di minuti. Mi sento leggera, il mondo sembra scomparirmi da sotto i piedi. Per quanto possa essere vicina a loro, mi sento tremendamente lontana. Le loro voci mi fanno da sottofondo, le mie orecchie sembrano ovattate.
Una vecchietta mi spinge, risvegliandomi dal mio stato di trance.
-Muoviti scema, se l'ascensore risale, mi porterai tu per ventotto piani. E sulle spalle- sibila.
-Ehm, scusi- mormoro, -che piano?-
-Ultimo- dice pulendosi gli occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglie di vetro.
Mentre le porte si chiudono osservo per l'ultima volta la famigliola felice. Una fitta allo stomaco. O al cuore, non li distinguo nemmeno più. Mi fa male tutto, sembra che qualcuno mi stia strappando gli organi uno dopo l'altro. E per quanto possa essere abituata a questa sensazione, fa sempre e comunque male.

Entro in casa, la quale è come sempre vuota. Mi metto a girovagare per le varie stanze come un'anima in pena senza nulla da fare. Decido di cambiarmi e di mettermi qualcosa di più comodo. "E caldo" penso. Fa un freddo cane. Cerco di alzare il riscaldamente, ma invano. Non funziona. Come se funzionasse qualcosa in questa dannata casa. Mia madre non muoverebbe il culo neanche se stessi per morire.
Mi siedo a tavola controllando la posta accumulatasi nel raccoglitore, figuriamoci se mia madre lo degnasse di uno sguardo. Bolletta, multa, multa, bolletta, bolletta, pubblicità e bolletta. Perfetto, oggi ci taglieranno i fili dell'elettricità perché mia mamma non paga da mesi ormai. Speriamo che sia solo un avvertimento o qualcosa per far intimorire mia madre e convincerla a pagare.
E zac, le luci si spengono. Come non detto.
"Vaffanculo mamma, vaffanculo" sibilo cercando delle candele. Ne prendo un paio e le accendo in camera mia. Non le lascio in giro per casa, non vorrei che mia mamma accidentalmente bruciasse tutto facendone cadere una ecc. Le lascio una pila sul mobiletto d'ingresso in caso le serva.
Mi preparo un bel panino con insalata e pomodoro e mi chiudo a chiave in camera mia. Accendo le lucine che ho appese alle pareti per illuminare la stanza. "Ma quanto sono sola? Non ho niente da fare... nessuno a cui scrivere o con chi parlare... Ah no, anzi". Prendo il cellulare e compongo il numero di Daniele. Suona libero ma non risponde. "Magari dorme". "No, sono solo le 21.40". "Ma magari é stanco, oggi era al lavoro". Dopo mille domande e risposte inutili spengo il cellulare posandolo su uno dei tanti materassi. O meglio, lanciandolo. "Uff", mi prendo il viso tra le mani e mi metto sotto le coperte. Non so perché, ma il fatto che non mi abbia risposto mi ha ferita. Non so veramente perché me la prendo per tali stupidaggini. "E se magari é arrabbiato con me perché prima gli ho riattaccato il telefono in faccia?" Dio santo, mi faccio troppe paranoie. Mi alzo e mi preparo uno spinello.
-'fanculo mondo- sorrido e mi abbandono al gusto della marija.

DARK PARADISEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora