3-Capitolo

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Il giorno dopo mi sveglio tardi, attorno alle due del pomeriggio. Mi alzo dal letto e mi guardo allo specchio. Chiazze nere di mascara sulle guance. Gli occhi gonfi e rossi. I capelli in disordine. Le labbra screpolate. Il corpo ricoperto di tagli.
-Sono un mostro- penso.
Accendo il cellulare e mi ritrovo 35 chiamate perse tutte da parte di Rebecca, la mia migliore amica, e 24 messaggi contenenti le condoglianze per la morte di mio padre da parte dei miei compagni.
Spengo il cellullare. Non voglio essere disturbata né biasimata.
Mi infilo i pantaloni larghi militari regalatomi da un mio caro amico e una felpa larga nera con il logo di Skrillex, un famoso DJ che ritengo il mio idolo.
Cercando di fare il meno rumore possibile giro la chiave nel chiavistello e apro la porta. Vado in bagno e apro il rubinetto facendo scorrere l'acqua calda nella vasca. Dopo essermi struccata mi immergo nell'acqua bollente e mi osservo le gambe. Sfioro appena tutte le ferite tracciandole con il dito. Abbasso le ginocchia e appoggio la testa sul bordo della vasca.
-Potrei annegarmi. No, soffrirei troppo e d'istinto tornerei in superfice a prender aria- penso tentando di afferrare l'asciugamano.
Una volta asciutta mi vesto e raccolgo i capelli in una coda. Mi piacciono i miei capelli. Sono di un nero corvino e mi arrivano un po' più su delle anche. Anche i miei occhi sono scurissimi e grandi. E ho un bel fisico, sono magra, ma non troppo. Non posso dire di essere una brutta ragazza, anzi, tanti mi hanno anche detto di essere molto carina. Ho respinto tutti quelli che mi hanno invitata a qualche appuntamento, non per fare la preziosa, semplicemente perché non voglio essere considerata una che si lamenta sempre. Ho troppi problemi e nessun ragazzo ne vorrebbe e io non voglio crearglieli. Perciò meglio che me ne stia da sola.
Non ho amici tranne Rebecca. Le ragazze della mia scuola mi invidiano perché sono tanto richiesta dai ragazzi, ma io non voglio nessuno, anzi quanto darei per non esser notata. Così mi faccio solamente che odiare. Dalle ragazze perché sono invidiose e dai ragazzi perché li respingo.
Smetto di osservarmi allo specchio e mi chiedo se mia madre sia in casa. Vado a controllare e non la trovo. Mentre cerco di trovare qualcosa da mettere sotto i denti sento bussare violentemente alla porta e vado ad aprire. Rebecca mi butta le braccia al collo piangendo.
-Ma non rispondevi! Mi spiace... Io.. tu sei così... oh Sum! Mi sono preoccupata e non...- comincia a singhiozzare.
-Ei Reby calma. Cos'è successo?-
Mi lancia uno sguardo preoccupato e sorpreso allo stesso tempo inarcando il sopracciglio. Abbasso lo sguardo sapendo benissimo cos'è successo.
-Ehm... Accomodati pure, parliamone dentro...- mormoro e le faccio segno con la mano di entrare.
Ci sediamo sul divano senza fiatare. Sono io a rompere il silenzio.
-Come è morto?- le chiedo con voce tranquilla senza distogliere lo sguardo dal quadro diventatomi interessante. Non l'ho mai notato prima d'ora.
Sento l'imbarazzo nella sua voce, probabilmente perché non è tanto normale che la figlia non sappia come le sia morto il padre.
-In un incidente stradale... Ehm, due camion hanno schiacciato la macchina dove... dove si trovava tuo padre. Sum, credimi, mi spiace così tanto- si trattiene dal piangere.
-Ah. Spero non sia morto soffrendo- mi si forma un nodo alla gola e gli occhi mi si riempono di lacrime. -È l'ultima cosa che si merita. Era così dolce e buono con me. L'unico che mi ha ascoltata e capita Rebecca. L'unico che non si è lamentato di me-. Non riesco più a trattenermi e le lacrime mi rigano il viso. Incomincio a singhiozzare e Reby mi stringe a sé piangendo a sua volta.
-Io sono qui Sum. Io resto. Per sempre.-

DARK PARADISEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora