capitolo 1

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Controllai che ci fosse tutto in valigia. Spazzolino, dentifricio, spazzola, pigiama, la mia felpa preferita e i vestiti. Velocemente mi misi al collo la mia collana preferita. Una catenella argento da cui pendeva una piuma bianca, dove era inciso in piccolo: "no fears". Me l'aveva regalata anni prima mia madre. Era una cosa di famiglia, si tramandava di figlia in figlia, quindi come mia nonna la diede a mia madre, lei fece lo stesso con me.
Salutai mio padre dandogli un'abbraccio, diedi un bacio alla foto dei nonni, e li salutai:
"Ciao nonna Cara, ciao nonno Rey. Vi voglio bene", presi tutto e salii in macchina. Mi misi le cuffie e cominciai ad ascoltare della musica. Continuai così per un po', poi le rimisi nello zaino e guardai fuori dal finestrino. Il buio aveva ricoperto la città e le strade, in poco l'oscurità era scesa sulla terra come parole richiamano altre parole in un discorso.
Guardai l'orologio.
Ormai eravamo quasi arrivati.
Mancavano cinque minuti e saremmo arrivati a quel maledetto campo estivo di un mese, giorno più, giorno meno. Maledetto in tutti i sensi dato che giravano voci strane sulle proprietarie e su quella famosa piscina.. . In ogni caso, mancava davvero pochissimo tempo. Nonostante non ci volessi andare, in quel momento non so perché, ma fremevo dalla voglia di esplorare quel campo.
Quell'estate, probabilmente sarebbe stata diversa dalle altre. Non sapevo perché. Forse perché sarei andata in prima superiore, o forse non lo so. In ogni caso, aveva un qualcosa di speciale.

Eravamo arrivati.
Alla mia sinistra c'era un giardino immenso.  A destra c'era un edificio di cinque piani color panna, probabilmente avrei dormito lì. E davanti a me c'era quella piscina. Viene chiamata senza fondo perché é profonda otto metri e mezzo. Si diceva che chi era riuscito a toccare il fondo non era più tornato in superficie.
Inquietante.
E di conseguenza interessante.
Ormai era sera però, quindi non riuscivo a vederla per bene. Dietro di questa c'era un'altra piscina molto, ma molto più piccola. Mia madre mi trascinó dentro l'edificio e ci trovammo davanti una specie di bancone o cattedra di tappi di sughero dipinti d'azzurro, dietro alla quale stavano due signore. Una che avrà avuto circa cinquant'anni, con i capelli lunghi, neri, sistemati in una coda. L'altra, sulla sessantina con i capelli corti, bianchi, e due occhi color nocciola coperti da una montatura nera.
"Buonasera" dissero in coro, "Siamo le proprietarie del Dikya, ma faremo domani le presentazioni. Tu sei? Ti dobbiamo dare la chiave della tua camera".
"Mi chiamo Crystal Campbell" dissi.
"Ok, tieni" disse quella con i capelli neri, e mi molló in mano una chiave grossa, dello stesso colore del bancone. Diedi un bacio sulla guancia a mia madre e andai di sopra. Le camere naturalmente erano per una persona, infatti erano molto piccole. La mia aveva il letto sulla sinistra, mentre a destra c'era un armadio di legno molto grande, che occupava tutta la parete. Davanti al letto c'era una finestra e dopo il letto c'era il bagno, piccolo ma con tutto ciò che mi sarebbe servito. Sistemai velocemente le valigie, mi lavai i denti, mi misi il pigiama e mi buttai sul letto.
Ero distrutta.
E il giorno dopo sarebbe stato lunghissimo.

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