Eravamo dentro, in una stanza vicina alla sala da pranzo. C'era chi faceva passare il tempo con giochi da tavolo, chi leggeva, e un gruppetto si era messo a giocare a nascondino. Io non riuscivo a stare in una stanza con troppe persone.
Cominciai ad ansimare.
Dovevo uscire di lì.
Girai un po' per vedere se da qualche parte c'era una porta. Trovai una porta finestra che dava sul retro del giardino.
La aprii.
Non mi interessava della pioggia, dovevo respirare.
Appena misi un piede fuori, una goccia me lo bagnò, e lentamente, come una lacrima che riga le guance di un bambino, scese dalla tela alla suola, e poi toccò il terreno. A quel punto uscii con tutto il corpo e le gocce fresche mi ricoprirono da capo a piedi. La sensazione della pioggia sul viso non la provavo da quando avevo sei anni. Mia mamma mi dava l'ombrello da tenere in mano, ma essendo piccola avevo una presa debole, per questo mi cadeva e mi bagnavo sempre tutta.
Mi era mancato.
Dopo un po' sentii un rumore, anzi, era un suono. Non capivo da dove venisse, poi guardando il Dikya lo esclusi. Era un po' più lontano. Allora guardai in là e scorsi una casetta. Aveva finestre piccole, una porta grande in legno di betulla. Il tetto un po' malandato sembrava che potesse cadere da un momento all'altro. Da una delle finestre si udiva una dolce melodia, di un pianoforte a coda. Ascoltando meglio capii che stavano suonando "Per Elisa". L'avevo ascoltata un sacco di volte, eppure non mi stancava mai. Automaticamente, senza che ci pensassi mi misi a ballare. Non facevo danza classica, facevo danza moderna, per questo da ballare quel brano non era tanto nelle mie corde, eppure lo feci lo stesso.
Cominciai a fare passi leggermente incerti, poi ci presi la mano e mi feci trasportare dalle note. Senza pensarci feci un salto, girai su me stessa e atterrai con i piedi per terra.
Chiusi gli occhi.
Ero perfettamente in sincronia con la musica.
Roteai un altro po' e poi qualcuno mi prese per i fianchi. Poi delicatamente mi prese una mano, mi fece fare una piroetta e mi riportò dentro.
Aprii gli occhi.
Era Selyn.
"Ti saresti presa il raffreddore" mi disse.
Lo guardai un po' stupita, dato che non l'avevo sentito arrivare. Poi Denise e Desirée ci chiamarono per il pranzo, che fu lento come tutte le altre volte. Da mangiare c'erano pizza, pomodori e lattuga. Con la pizza ero a posto. Finito il pranzo ci dissero che potevamo tornare in quella stanza comune oppure andare nelle nostre camere, fino all'ora di merenda.
Selyn mi invitò a stare nella sua stanza, ed io accettai.
Nessuno dei due sapeva bene di cosa parlare o cosa fare. Cominciai a pensare all'edificio, a com'era fatto; magari mi veniva in mente qualche posto bello in cui andare.
Lì mi venne un'idea.
Raggiante dissi a Sel:
"Preparati Sel, andiamo al quinto piano".

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Dikya
AdventureUn campo estivo e molti segreti. Una piscina "senza fondo" con una storia dimenticata da tutti. Una storia dimenticata quasi da tutti. E segreti che non rimarranno tanto a lungo segreti.