Piccolezze

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Pairing: Hiromido

Trama: Ryuji non ha bisogno di un principe azzurro. A lui basta una persona che sappia fare gesti piccoli, ma azzeccati.

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Quella giornata poteva definirsi solo come ''uno schifo''. Aveva litigato con i propri genitori perché aveva insistito per l'ennesima volta di non voler intraprendere la carriera dell'avvocato; si era scordato di prendere la tesina dalla scrivania e il professore gli aveva detto che gli avrebbe abbassato la media, perché "non era possibile essere così irresponsabili"; aveva ricevuto un pugno in faccia dal bulletto della scuola perché "lo stava guardando male" e, come ciliegina sulla torta, aveva perso l'autobus, e adesso doveva aspettare un'ora poiché abitava in un pezzettino sperduto nel mondo dove gli autobus passano una volta ogni due ore.

Fantastico. La bellezza dell'essere vivi.

Si era seduto sul bordo del marciapiede - perché tanto che senso aveva sedersi sulla panchina? -, chiedendosi cosa mai potrebbe andare più storto di così e, chiaramente, dato che il cielo lo odiava, sentì delle goccioline d'acqua atterrare sulla sua testolina verde, per poi scivolargli sul naso e sulle guance: stava piovigginando.

Voleva morire. E mentre più si accigliava, più la pioggia sembrava intensificarsi, come se fosse una conseguenza direttamente proporzionale al suo stato d'animo.

In quel momento, Midorikawa Ryuji odiò tutto il mondo.
Non andò a cercarsi un riparo. Si lasciò inzuppare dalla testa ai piedi, sperando che l'acqua si portasse con sé anche le sue pene. Speranza alquanto gracile, perché non sembrava star funzionando un granché.

Batteva il vento, e Ryuji cominciò a sentire dei brividi percorrergli il corpo, simili a piccole scariche elettriche che non riusciva a fermare. Ma non gli importava; o, almeno, voleva fingere che non gli importasse. Fingere che quel corpo, a cui erano accadute tante disgrazie, non fosse il suo.
O forse voleva pensare che quella fosse una specie di penitenza e che, una volta conclusa, avrebbe potuto seguire serenamente con la propria vita.

Fatto sta che aveva freddo. E sentire come la camicia leggera gli si appiccicava alla pelle era una sensazione sgradevole. L'unica sua consolazione era che il freddo andava a sbollire il bruciore che sussisteva ancora sulla guancia. Chiuse gli occhi e decise di concentrarsi solo sul rumore delle gocce che si schiantavano contro l'asfalto. Forse non amava inzupparsi, ma gli piaceva il suono della pioggia. Era calmante. Confortante. Sentì come la tensione abbandonava un po' i suoi muscoli.

Proseguì con il suo ascolto, finché non si accorse di qualcosa di strano. Il rumore delle gocce continuava a persistere, eppure lui non le sentiva più sul proprio corpo. Aveva forse perso la sensibilità a causa del freddo? Gli sembrava un po' troppo presto. Aprì gli occhi e li alzò verso il cielo. Al posto di incontrarsi con un triste color grigio, lo ricevette un tessuto nero capace di inghiottirgli la vista: un ombrello. Ma cosa ci faceva sopra la sua testa? Girò la testa di lato e vide il profilo del proprietario di quell'oggetto: un ragazzo dai capelli rosso fuoco e occhi di giada.

Il ragazzo non lo guardava, non sorrideva, non gli parlava. Si limitava a rimanere accovacciato vicino a lui e a tenergli l'ombrello sopra la testa.
Ryuji cercò di fare mente locale: conosceva già questo ragazzo? Poteva notare che avevano lo stesso uniforme, quindi andavano alla stessa scuola, tuttavia: se avesse visto un rosso così intenso e vivido, non avrebbe avuto almeno una sensazione di déjà vu? Invece lui non aveva niente. Niente di niente, perciò non lo conosceva. Erano dei perfetti sconosciuti.

E allora perché quel perfetto sconosciuto lo rifugiava dalla crudeltà della pioggia? Sinceramente, in quel momento non era dell'umore giusto per importargli del suo motivo. Se voleva farlo, non l'avrebbe fermato. E se non voleva dargli nessuna spiegazione - né una parola in generale -, non gliel'avrebbe pretesa. Dunque stettero lì, in silenzio, senza guardarsi, durante una ventina di minuti.

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